il manifesto 21.2.16
Referendum prima di tutto: si può vincere all’attacco
Riforme. A Cosmopolitica l'asse di Sinistra italiana con i costituzionalisti del comitato del no al referendum costituzionale
Alessandro Pace, presidente del comitato del no al referendum costituzionale, interviene a Cosmopolitica
A. Fab.
ROMA
«Sono un costituzionalista, quando intervengo metà della platea si
annoia» comincia Alessandro Pace, presidente del Comitato per il no al
referendum costituzionale. Invece succede che va avanti tra gli applausi
e finisce con una specie di ovazione, non scontata per un vecchio
liberale di fronte alla sinistra junior di Cosmopolitica. Segno che
Sinistra italiana ha già messo la campagna contro la riforma
costituzionale al centro della sua prima agenda politica. La conferma è
nella platea del palazzo dei Congressi, piena e attenta mentre sfilano
sul palco più professori che politici.
Interventi brevi, quando a
Pace servirebbero delle mezz’ore per elencare i motivi di contrarietà
alla revisione costituzionale e le incostituzionalità del disegno di
legge Renzi-Boschi: «Come cittadino mi spaventa, come costituzionalista è
uno spasso, è pieno di errori».
La riforma, si sa, non è ancora
stata approvata dalle camere, ma non ci sono più dubbi che chiuderà il
suo percorso parlamentare a metà aprile, poi arriverà la richiesta di
referendum — anche da deputati e senatori di maggioranza che l’hanno
voluta — ed è già in campo l’operazione di trasformazione del referendum
sulla modifica di oltre 40 articoli della Carta in un plebiscito sul
governo e ancor di più sul suo capo. Operazione alla quale si tenterà di
reagire per due vie.
Innanzitutto proponendo una campagna
elettorale nel merito delle questioni. Come dice il professore Luigi
Ferrajoli, filosofo del diritto, «il vero tema del referendum sarà la
natura del sistema politico italiano, se è destinato a restare un
sistema parlamentare o a trasformarsi in un’autocrazia». Ammesso che non
sia già peggio come dice Geminello Preterossi, filosofo della politica,
secondo il quale «la democrazia è ancora sulla scena ma è ormai una
maschera che copre un governo oligarchico». La campagna dunque si
proverà a farla sui vari punti della riforma, dalla mancata elezione
popolare dei senatori — che resta affidata a un meccanismo
contraddittorio — al faticoso sistema di produzione delle leggi al neo
centralismo del titolo quinto al tema delle garanzie ridotte e dei
poteri concentrati sul governo.
Ma insieme alla campagna del
comitato per il no — che proverà a raccogliere le 500mila firma dei
cittadini anche se in Cassazione arriverà più svelta la richiesta di
referendum presentata dai parlamentari — partirà una campagna per i
referendum abrogativi di altre «riforme» che hanno segnato il biennio
renziano. Già pronti due quesiti contro la legge elettorale, l’ultra
maggioritario dell’Italicum è del resto la seconda gamba
dell’involuzione istituzionale proposta dal governo. Probabili ma non
ancora del tutto definiti i referendum contro il Jobs act e la legge
sulla scuola, non si esclude un’identica iniziativa contro la nuova
legge sulla Rai. «Se vogliamo bloccare il renzismo — spiega il
costituzionalista Massimo Villone — dobbiamo ridisegnare il sistema che
l’ha prodotto. Il parlamento rovinato da tre turni di Porcellum sarà
devastato dall’Italicum, con quella legge elettorale servirebbe a poco
bloccare la riforma costituzionale».
Dopo di che si tratta di
mettere a punto uno stile di campagna elettorale. E il costituzionalista
Gaetano Azzariti ripete da tempo che «non si può vincere il referendum
in difesa». Intende che, tanto più in una situazione di grave crisi
politica, la sinistra deve avere il coraggio di avanzare proposte
radicali, come «il monocameralismo associato a una legge elettorale
proporzionale» (idea che fu già della sinistra indipendente negli anni
ottanta). Ma sarebbe anche da proporre una modifica profonda dei
regolamenti parlamentari, per cancellare le strozzature dei tempi
contingentati e a quel punto accettare di mettere un limite
all’ostruzionismo fine a se stesso. Perché è vero, dice Azzariti, che il
disegno di legge Renzi-Boschi ammazza il parlamento, «ma ci vuole poco a
uccidere un uomo morto». a. fab.