il manifesto 20.2.16
Per ora è Sinistra italiana
Cosmopolitica.
Davanti a duemila persone via al nuovo partito, il nome definitivo al
congresso. Ci sarà un comitato promotore largo. «Ultima chiamata,
riconquistiamo la fiducia dei nostri»
Daniela Preziosi
Grandi
palloni rossi e sottili frecce gialle tipo patatine fritte, elementi
stranianti nel razionalissimo Palazzo dei Congressi di Roma. Oltre 2mila
presenze registrate, un palco che s’infila nella platea in un tentativo
di accorciare le distanze fra chi parla e chi ascolta, come dire fra la
sinistra e il suo popolo, perché l’obiettivo è «riconquistare la
fiducia dei nostri», spiega Peppe De Cristofaro. È partita ieri
pomeriggio la tre giorni di Cosmopolitica, ’cosmo’ anche perché è la
ricerca di mettere ordine al ’caos’, spiega il professore Carlo Galli. È
il primo giorno di «un’assemblea libera, che non può essere
congressuale» (ancora De Cristofaro). Oggi si apriranno i 24 tavoli
stile Leopolda e le quattro assemblee tematiche sulle quattro campagne
del nuovo soggetto: democrazia, scuola, ambiente, lavoro e welfare. Poi
un’intera sessione sulla democrazia digitale e su ’Commo’, la «casa
online» di Si. Domenica sarà la giornata clou.
Ma il vero
congresso invece arriverà a dicembre, così il vero simbolo, il vero
nome, le vere regole. Fin lì è tutto provvisorio: il nome Sinistra
italiana, che è quello del gruppo parlamentare nato alla camera dalla
fusione fra Sel e cinque ex Pd. È noto il dissenso dei ragazzi del
movimento Act sul nome, forse addirittura sulla parola «sinistra» per
essere stata consumata da molti usurpatori, ma se ne riparlerà. Paolo
Cento proporrà «Sinistra verde». Ma per ora giovani scapigliati e
vecchie glorie sembrano d’accordo che bisogna tenere la creatura al
riparo delle polemiche. Anche sulle perplessità sull’idea di «partito»,
altro termine su cui le anime più movimentiste sbuffano. Il risultato è
la proposta di De Cristoaro: «Una formula ibrida, un partito oltre il
classico partito», in grado — nelle intenzioni — di chiudere «il tempo
degli accrocchi e di tutto quello che ha segnato la sconfitta della
sinistra».
Ci sarà un comitato «ampio, imponente e aperto», e uno
esecutivo più ristretto su cui si percepisce una certa effervescenza. Le
questioni organizzative non scaldano i cuori (ma il confronto sì,
mentre il manifesto va in stampa si svolge la prima delle due plenarie
su questo delicato aspetto), ma sono importanti per capire se il nuovo
soggetto avrà le gambe per affrontare la lunga traversata di una
sinistra che diventa autonoma e indipendente.
La sfilata degli
interventi, coordinati da Betta Piccolotti, affronta le battaglie
qualificanti future. Immigrazione, democrazia, referendum sulle trivelle
e quello sulla riforma costituzionale, la platea paziente ascolta. Si
commuove per l’omaggio a Giulio Regeni, il ricercatore torturato e
ucciso in Egitto, e Valeria Solesin, la ricercatrice morta al Bataclan
di Parigi.
I temi sono tanti, si passano il testimone, a volte con
qualche contraddizione. Voluta, non casuale: sono le contraddizioni
della sinistra, intesa almeno fin qui nel suo significato più estensivo.
Basta ascoltare Franco Martini, Cgil, l’autocritica di un sindacato che
si è attestato «sulla difesa di quello che eravamo, di quello che ci
stavano portando via», e subito dopo la ricercatrice Marta Fana che
contesta alla Cgil proprio gli accordi per i quali i salari sono andati
giù.
Il cimento del percorso costituente è rimettere insieme non
tanto i pezzi della sinistra ma un suo punto di vista. C’era Sel, ma non
è bastata, il fallimento della coalizione Italia Bene comune lo
dimostra. C’erano i movimenti e adesso non ci sono più, o almeno ci sono
poco. Il rischio di chiudersi in una ridotta: per alcuni è considerato
un pretesto per la conservazione dell’esistente, per altri è forte. In
un’intervista video Laura Boldrini lo dice: «Il cambiamento non si fa in
un angolo, il cambiamento non si fa ballando da soli».
Lo sa bene
Stefano Fassina, qui presente, che cerca di mettere insieme tutta la
sinistra romana per le amministrative. Dal versante opposto del residuo
centrosinistra, il sindaco di Milano Giuliano Pisapia oggi ci sarà, ma
non ha ancora deciso se parlare: a occhio questa la platea non voterebbe
Sala, il candidato renziano che ha vinto le primarie. Sergio Cofferati
lo dice: «Sala è la negazione della stagione dei sindaci arancioni».
L’ex segretario Cgil però non vuole rubare la scena: «Oggi c’è la
necessità e l’impegno a far emergere le forze dei giovani». Farà il
padre nobile, magari un padre ancora molto attivo. Così anche Nichi
Vendola, il cui intervento registrato è atteso per domenica.
Per
dissenso invece non ci sono anche altri protagonisti: Civati, per
esempio. Rifondazione e l’Altra Europa sono ospiti ma per ora stanno
fuori da Si. «Spero che arrivino, nessuno è proprietario del processo
costituente», dice l’ex dem Alfredo D’Attorre. Ma è il problema dei
problemi. E non è questione (solo) di qualche parlamentare o qualche
sigla, riguarda il popolo di una sinistra oggi senza popolo. «Il punto è
che questo processo non ci chiuda in sé, che sappia dialogare con
quello che c’è fuori. Che con i movimenti non costruisca un rapporto di
cooptazione, che non abbia la pretesa di rappresentare tutto», è
l’invito del professore Sandro Mezzadra.