il manifesto 16.2.16
Uscire dal risiko delle combinazioni elettorali
Cosmopolitica.
Da tempo gli elettori hanno indicato che non amano i cartelli
elettorali, come si è visto nei fallimenti precedenti, a partire dalla
sinistra arcobaleno
di Bia Sarasini
D’improvviso
se ne sono accorti tutti, dopo i risultati delle primarie del Pd per il
sindaco di Milano. Non c’è più una sinistra in scena, lo conferma il
profilo indistinguibile dei candidati sindaco a Milano del Pd e del
centrodestra, Giuseppe Sala e Stefano Parisi. E volenterosi i
commentatori, tra giornali, social e talkshow, si precipitano ad
analizzare l’ampio spazio lasciato vuoto dal Pd, e dalle sciagurate
scelte della sinistra arancione. Per concludere desolati, che sì,
lavoratori pensionati precari avrebbero bisogno di rappresentanza
politica. Ma non c’è nulla di nuovo all’orizzonte.
Non è dalla
favola del nuovo, questa postazione ambita da chi deve conquistare
l’attenzione della narrazione mediatica, che viene una lettura capace di
comprendere quello che avviene. Nuovo non è fare fuori i vecchi, in una
coincidenza pseudo-naturalistica tra la freschezza delle idee e l’età
anagrafica. Si rischia di non comprendere il nuovo che viene da Bernie
Sanders, o Jeremy Corbin, in scenari dove tutto sembrava già capito, per
questo classificati come nuovissimi negli schemi delle élite
internazionali. Non afferrare perché questi anziani politici viene
attribuita la definizione che è stata affibbiata al giovane Pablo
Iglesias: antisistema. Una parola-sintomo, che rivela ciò che si teme.
Che si butti all’aria il sistema.
E se torniamo in Italia,
l’accusa di essere vecchi, non è quella più frequente tra i pezzi sparsi
di sinistra? Lo dico subito, sono in parte in causa. Ho dedicato tempo a
cercare di creare uno spazio in cui stessero insieme forze politiche
che, come si è constatato con la rottura del tavolo, non possono e non
vogliono stare insieme, preferiscono organizzarsi in proprio. Ma non
scrivo per recriminare, anche se è evidente che la separazione mina
fortemente la credibilità . Nei confronti degli elettori, ma anche nei
confronti degli attivisti. Che preferiscono rivolgere le loro energie, a
cause più mobilitanti. A liste unitarie per le amministrative. E
soprattutto alla battaglia per i referendum istituzionali e sociali.
Punto cruciale, per ogni futuro scenario politico e sociale del Paese.
Una battaglia che ha bisogno di vitalità, speranza, convinzione. Una
battaglia da fare uniti, nella prospettiva più ampia possibile.
In
questo fine settimana a Roma l’assemblea convocata dal documento «La
sinistra di tutte e tutti» invita a un percorso per un nuovo soggetto
politico. Un invito che ha senso, se dall’assemblea si aprirà un
processo dalle molte tappe, che arrivi a fine anno al congresso che
fonderà il nuovo partito, nell’apertura, non nella chiusura. Senza dare
per scontate fin da ora future alleanze elettorali tra parti diverse. È
da tempo che gli elettori hanno indicato che non amano i cartelli
elettorali, come si è visto nei fallimenti precedenti, a partire dalla
sinistra arcobaleno. Questo insegna il successo modesto, ma finora unico
dopo una serie di sconfitte, dell’Altra Europa con Tsipras. Una vera
esperienza unitaria, che andava oltre le sigle. E lo dico ben
consapevole dei problemi successivi, e della delusione che hanno
seminato.
Per questo sono convinta che il processo costituente per
il nuovo soggetto non possa che essere unico, che va lasciato alla
responsabilità di ciascuno il tenersene fuori, senza esclusioni
preventive. Per questo mi auguro che al centro dell’assemblea, e di
tutto il processo, ci sia la politica, e non le pur necessarie
preoccupazioni organizzative. Il campo delle opzioni è ampio, tra
partecipa. C’è perfino chi immagina il futuro come un ritorno all’Ulivo.
Lo confesso, è una discussione che non mi appassiona, questa sì la
trovo molto vecchia. E con me credo che appassioni ben pochi. E
pochissime. Non c’è nulla di più vecchio del gioco dei posizionamenti.
È
stato un inizio di anno drammatico, in Italia e in Europa. Le banche
rischiano di crollare, insieme all’intero sistema, mentre si chiudono
ovunque le frontiere. I migranti, da fenomeno stagionale, su cui
commuoversi solo d’estate, continuano ad arrivare in massa e si comincia
a capire che non ci lasceranno più. Dopo gli attentati di Parigi che
hanno spinto la Francia, la culla della democrazia occidentale, a
cambiare la Costituzione, il terrorista cambia volto e si manifesta come
molestatore, nella piazza di Colonia. Solo le femministe, tenute ai
margini della scena politica, alzano la voce per spiegare che non c’è
un’esclusiva musulmana della violenza maschile, e non si arruolano
nell’isteria collettiva. La sinistra è afasica, mentre le destre più
reazionarie non hanno paura di parlare. Per questo è necessaria la
politica, la capacità di trovare una parola che dia un senso condiviso
ai fatti, indichi una possibilità di cambiamento, che non sia una resa.
Per questo mi auguro che nell’assemblea si abbandoni il risiko delle
combinazioni. E si apra la strada a cercare una propria forza. Non dei
numeri, non solo. Di una visione.