il manifesto 12.2.16
Etruria fallita, Boschi nei guai
Inchieste.
Il tribunale fallimentare certifica l'insolvenza della vecchia Bpel. La
procura aretina acquisisce la sentenza per indagare sulla bancarotta
fraudolenta. Coinvolto fra gli altri Pier Luigi Boschi, padre della
ministra delle riforme. I risparmiatori spennati pronti a costituirsi
parte civile al futuro processo
di Riccardo Chiari
AREZZO
Ad un anno esatto dal commissariamento di Bankitalia, ora è ufficiale:
la vecchia Banca popolare dell’Etruria e del Lazio chiuse bottega in
stato di insolvenza. In parole povere era fallita, quando il 22 novembre
scorso il decreto salvabanche del governo mise una piccola toppa al
gigantesco buco. Con lo scorporo delle attività creditizie ancora
salvabili, confluite nella nuova Banca Etruria, e le sofferenze
miliardarie nella bad bank comune con gli altri tre istituti di credito
finiti in liquidazione coatta amministrativa: Banca Marche, CariFerrara e
CariChieti.
La decisione dei giudici del tribunale fallimentare
di Arezzo era attesa soprattutto dai 1.600 fra piccoli azionisti e
sub-obbligazionisti di Etruria, incastrati nei meccanismi del decreto
salvabanche che non dava loro la possibilità di riavere i loro soldi.
“Ora possono costituirsi parte offesa – spiega Pietro Ferrari di
Federconsumatori Toscana – e noi li inviteremo a farlo, perché diventino
parte civile al processo penale”. Processo che prima o poi ci sarà, con
l’accusa di bancarotta fraudolenta a carico di tutti gli ex
amministratori della Bpel dal 2012–13 in poi. Compreso Pier Luigi
Boschi, ultimo vicepresidente della vecchia Etruria e padre della
ministra delle riforme Maria Elena Boschi.
Il deposito delle 15
pagine della sentenza del tribunale fallimentare, redatta dalla
presidente Galantino e dei giudici Picardi e Masetti, era atteso anche
dalla procura aretina. E dal primo piano del palazzo di giustizia il
documento è salito subito al terzo, nell’ufficio del procuratore capo
Roberto Rossi. Che ora aprirà un fascicolo per bancarotta fraudolenta,
sulla base della sentenza e della relazione del commissario liquidatore,
Giuseppe Santoni. Secondo la quale il buco di Etruria ammonta in totale
a 1,167 miliardi, con circa 305 milioni di euro di debito ancora a
carico di ciò che resta della vecchia banca.
Più in dettaglio,
nella relazione che ha accompagnato la richiesta di insolvenza è stato
segnalato che la vecchia Etruria aveva 587 milioni di deficit accumulato
al 30 settembre, e altri 580 al momento della liquidazione del 22
novembre. Di più: c’erano 305 milioni che la banca non era in grado di
restituire sia al fondo di risoluzione interbancario (283 milioni) che
ad alcune categorie di sub-obbligazionisti (22 milioni). Infine Santoni
ha segnalato una serie di consulenze illegittime, o dichiaratamente
illecite, per complessivi 17 milioni.
Proprio queste consulenze,
insieme ai fidi concessi a clienti “eccellenti” e poi finiti nel
calderone delle sofferenze, e ai compensi anche milionari degli
amministratori Bpel, sono il carburante dell’inchiesta per bancarotta
fraudolenta. Del resto lo stesso Santoni, nell’udienza di lunedì scorso
al tribunale fallimentare, aveva evidenziato come il crack di Etruria
fosse stato provocato da operazioni di dissipazione del patrimonio.
Attuate, anche secondo i risultati delle ripetute ispezioni di
Bankitalia, da chi era stato seduto sulla plancia di comando e nel cda
della Bpel negli ultimi tre anni. Alcuni nomi: si va dall’ultimo
presidente Lorenzo Rosi e dai suoi vice Alfredo Berni e Pierluigi
Boschi, al commercialista “tuttofare” e membro fisso del cda Luciano
Nataloni, fino ai passati esponenti di vertice Giuseppe Fornasari e Luca
Bronchi.
Per il procuratore Rossi, tuttora in bilico perché il
Csm sta verificando una sua eventuale incompatibilità all’ufficio per
alcuni suoi “silenzi” su vecchie — e quasi tutte archiviate – indagini
su Pier Luigi Boschi, quella sulla bancarotta sarebbe la sesta inchiesta
su Etruria. Gli altri cinque filoni riguardano l’ostacolo alla
vigilanza di Bankitalia, per il quale il 10 marzo andranno da vanti al
gip Giuseppe Fornasari, Luca Bronchi e David Canestri. Poi le false
fatturazioni, a carico di Fornasari e Bronchi. Ancora, il conflitto di
interessi che vede indagati Lorenzo Rosi e Luciano Nataloni. Infine la
truffa ai risparmiatori per le sub-obbligazioni. E l’indagine per
insider trading sul caso dei 228 milioni usciti dalle casse della Bpel
nelle sei settimane precedenti il decreto salvabanche.