il manifesto 12.2.16
La rivoluzione cristiana a Cuba
Il
Papa e il Patriarca. Il capo della Chiesa cattolica romana e quello
della Chiesa ortodossa russa in uno storico incontro oggi all’Avana,
luogo "neutro" scelto non certo a caso. Saranno loro due a salvare il
mondo da fondamentalismi e turbocapitalismi?
Preparativi per l'arrivo del Papa
di Franco Cardini
Diciamola
tutta: non è un annunzio di quelli che possono lasciare indifferenti.
Nel novembre 2014, conversando con i giornalisti in aereo durante il
viaggio di ritorno dalla Turchia, papa Francesco aveva risposto a un
giornalista che gli aveva domandato qualcosa a proposito di un probabile
incontro con il patriarca moscovita Kirill: «Gli ho detto: — Io vengo
dove tu vuoi. Tu mi chiami e io vengo -; e anche lui ha la stessa
volontà».
Ora, il capo della Chiesa cattolica romana e quello
della Chiesa ortodossa russa stanno per incontrarsi, oggi 12 febbraio,
molto lontano dalle loro rispettive sedi: all’aeroporto dell’Avana, in
Cuba, un luogo che papa Bergoglio già conosce per esservi stato
trionfalmente accolto pochissimo tempo fa; un’isola caraibica abitata da
discendenti di coloni spagnoli e di schiavi africani, un popolo che
parla il medesimo idioma della “sua” Argentina, nella “sua” diletta
America latina. Una periferia tra le periferie, di quelle che secondo il
pontefice sono particolarmente adatte a comprendere e a farci
comprendere il mondo nel quale viviamo.
Cuba ha conosciuto mezzo
millennio di dominazione spagnola e più di mezzo secolo di “libertà”
dominata in modo quasi coloniale dagli Stati Uniti, un triste periodo di
brutali dittature e di pesante corruzione che l’avevano trasformata
nella bisca e nel bordello dei Caraibi; quindi, l’oltre mezzo secolo di
austero e sotto molti aspetti eroico regime socialista insidiato da un
embargo disumano che non lasciava passare nemmeno le merci destinate a
scopi umanitari ma durante il quale – nonostante la limitazione di certe
libertà, la religiosa inclusa – l’isola è riuscita a porsi ad
avanguardia e ad esempio di sviluppo civile, culturale e sanitario.
Cuba
è povera: ha le sue piantagioni di canna da zucchero e il suo pregiato
rum, quelle di tabacco e i suoi celeberrimi sigari, un po’ di buon caffè
e un po’ di rame; e vuole restare sobriamente povera, autolimita lo
sviluppo industriale, ha espresso una saggissima legge che impedisce
l’inquinamento dei suoi fiumi dove la navigazione a motore è vietata e
che sono quindi dei veri e propri paradisi naturali. Ma produce una
ricchezza straordinaria, che in questi decenni ha esportato in tutta
l’America latina procurandosi in cambio il petrolio e altre merci
indispensabili: le sue università, di eccellente livello (è uno dei
paesi al mondo con la più forte densità di laureati) sfornano medici e
insegnanti che poi lavorano, stimati e apprezzati, nell’intero
continente. Un articolo di esportazione pregiatissimo.
Cuba è un
paese di gente onesta e ordinata, dignitosissima anche nei suoi pur
numerosi mendicanti che lo stato si sforza di reprimere con metodo e
rigore, ma senza usare violenza.
La migliore cucina russa
D’altra
parte, oltre mezzo secolo dopo la famosa crisi che per un pelo non fece
scoppiare la terza guerra mondiale, i cubani non hanno dimenticato
l’appoggio sovietico che per molto tempo ha consentito loro di far
fronte all’embargo. Forse non rimpiangono il sogno sinistro della
“cittadella” nucleare che avrebbe dovuto sorgere nell’estremo ovest
dell’isola, e il profilo degli scheletri delle cui spettrali cupole
abbandonate si nota ancora da lontano, circondato da un deserto di
abitazioni in cemento armato degno della periferia staliniana di Mosca.
Però ricordano con simpatìa, quasi con affetto, i loro vecchi alleati:
non è raro incontrare gente di mezza età che parla ancora un discreto
russo; e sul Malecón, il Lungomare che collega il centro della città
alla fortezza spagnola dominante il porto e che ora comincia a rifiorire
dopo il forzato abbandono di tanti begli edifici che l’embargo rendeva
impossibile restaurare, una grande bandiera rossa con tanto di falce e
martello svetta sul palazzo che ospita il «Restaurante sovietico» nel
quale si servono ancora i tipici piatti della migliore cucina russa.
A
Cuba, come in molte altre regioni latinoamericane, esiste una fiorente
comunità russo-ortodossa (non crediate che cose del genere siano
esclusive degli Stati Uniti, come abbiamo imparato dal Cacciatore di
Michael Cimino): proprio nel centro della città, accanto a una celebre
rivendita di rum, una chiesa ortodossa nuova di zecca con le mura
immacolate di calce e la cupola dorata reca ben in vista, sul frontone,
una lucente targa di rame nella quale si ringrazia il presidente
Vladimir Putin per un generoso finanziamento. Si sa per certo che nel
maggio scorso Raúl Castro, incontrando Putin e il patriarca Kirill a
Mosca, aveva esternato a entrambi – su richiesta di papa Francesco – il
desiderio del vescovo di Roma, cui egli deve tanto per il “disgelo” con
gli Usa, d’incontrarsi con il capo degli ortodossi russi; e che in
seguito, ospite del papa a Santa Marta, gliene aveva riferito.
Queste
prospettive diplomatiche, mentre a Cuba nel rinnovato clima di
collaborazione con il governo le autorità ecclesiastiche acquistano
sempre più peso, appaiono di speciale importanza alla vigilia delle
elezioni statunitensi del prossimo novembre.
Ted Cruz e Marco Rubio
Per
quanto ne appaia poco importante la vittoria, si profila una qualche
ipotesi che la Casa bianca – anziché dai due principali contendenti,
Trump e la Clinton – possa venir occupata da un cattolico d’origine
cubana figlio di rifugiati politici anticastristi. Se Ted Cruz o Marco
Rubio diventassero presidenti, che cosa prevarrebbe in loro, l’affetto
per la madrepatria d’origine oppure l’anticastrismo, probabilmente
forsennato, succhiato con il latte materno?
Tutto ciò potrebbe
influire in modo determinante sul carattere del “disgelo” tra Washington
e L’Avana: un disgelo che a Cuba è atteso con speranza e apprensione
poiché si teme che, insieme con l’acqua sporca del bagnetto, cioè quel
che resta del regime monopartitico, il «ritorno della libertà» faccia
sì, come accadde nell’Unione sovietica di un quarto di secolo fa, che si
getti via anche il bambino delle garanzie sociali di base come
l’istruzione e l’assistenza medica gratuite; e che si assista allo
squallido spettacolo dell’assalto liberista e delle privatizzazioni
selvagge con la conseguenza di un deciso ed esteso peggioramento delle
condizioni della popolazione e dell’avvìo di un processo di crescente
ingiustizia sociale.
Grazie a Dio, i «Chicago Boys» sono oggi solo un triste ricordo: e tuttavia…
L’isola di Castro e «della libertà»
È
comunque significativo che un influente personaggio del patriarcato
moscovita, il metropolita Hilarion Alfeyev, conversando con i
giornalisti russi, abbia detto a proposito dell’incontro fra i due capi
delle Chiese: «Abbiamo scelto l’isola della libertà». Una tale
definizione, che qualcuno ha trovato scandalosa e qualcun altro
straordinariamente significativa, ha un carattere fondamentale. Non è
facile credere casuale la scelta del territorio cubano – per definizione
“neutro” – come luogo dell’incontro. È vero: Kirill sarà già nell’isola
per la sua visita ufficiale a quel paese, Francesco anticiperà di
alcune ore la partenza per la sua visita pastorale in Messico e potrà
quindi rivedere, pochi mesi dopo gli incontri di Roma e dell’Avana, il
suo ormai «vecchio amico» Raúl Castro, il quale in queste ore è
comprensibilmente al settimo cielo per l’accresciuto prestigio
internazionale che l’evento gli sta procurando.
Ma Cuba non è
ancora uscita dal socialismo e rischia di diventar terreno di razzìa per
il turbocapitalismo. Questo è il punto. Il presente, lo conosciamo. E
il futuro?
Di che cosa dunque, parleranno, Francesco e Kirill? Si è
fortemente sottolineato che entrambi lanceranno un forte appello ai
popoli e ai governi affinché venga arrestata l’onda delle persecuzioni e
degli assassinii di cui sono vittime i membri delle comunità cristiane
ospiti di molti paesi musulmani dell’Asia e dell’Africa.
Intanto, a
Mosca si ripubblicano i testi di Soloviev e circola con insistenza la
sua profezia: l’alleanza tra il papa di Roma e la santa Russia salverà
il mondo. Da che cosa? Dal fondamentalismo islamico che brucia le chiese
e uccide i cristiani, commentano alcuni. Dall’arroganza
turbocapitalista che ha imposto quel sistema della «inequità» denunziato
dall’enciclica Laudato si’, replicano altri.
Dopo
l’Internazionale dei lavoratori di tutto il mondo uniti che non si è mia
avverata e quella dei capitalisti delle lobbies che si è avverata fin
troppo con aberranti e allarmanti risultati, quella dei cristiani uniti
nel segno della giustizia e della misericordia potrebbe sul serio essere
la Rivoluzione del XXI secolo.