il manifesto 11.2.16
Grecia. Il piano per non uscire da Schengen
La
corsa di Atene in vista del vertice europeo sull’emergenza profughi. Se
chiudesse la frontiera macedone centomila rifugiati resterebbero
bloccati nel primo mese. Più di 60 mila arrivi a gennaio 2016 nelle
isole dell’Egeo contro gli appena 1.600 di un anno fa
di Stefano Montesi Carlo Lania
ATENE
Accelerare la costruzione degli hotspots, aumentare il numero dei
migranti identificati e rafforzare ulteriormente i controlli alle
frontiere. L’ennesimo ultimatum che l’Unione europea si prepara a dare
alla Grecia ha l’effetto di irritare ulteriormente il governo Tsipras.
Nei giorni scorsi il ministro per l’Immigrazione Yannis Mouzalas ha
parlato di un tentativo da parte di Bruxelles di «criminalizzare» il
paese ellenico, del quale non si riconoscerebbero abbastanza gli sforzi
compiuti per arginare il flusso di migranti in arrivo dalla Turchia. Gli
scenari ipotizzati, conseguenza di una probabile chiusura definitiva
del confine con la Macedonia, se non proprio catastrofici sarebbero a
dir poco allarmanti, con centinaia di migliaia di rifugiati bloccati in
Grecia nell’impossibilità di proseguire il loro viaggio lungo la rotta
balcanica. Solo nella prima settimana di blocco della frontiera almeno
18 mila profughi si accalcherebbero al confine della Macedonia, mentre
dopo un mese potrebbero essere 100.000 quelli presenti su tutto il
territorio, 20 mila dei quali solo nelle isole dell’Egeo.
«È un
momento particolarmente difficile per il Paese», commenta preoccupata
Alessandra Morelli, coordinatrice dell’Unhcr per le operazioni di
emergenza nel paese ellenico. Proprio all’Alto commissariato Onu per i
rifugiati Bruxelles ha chiesto di preparare un piano in grado di gestire
la nuova emergenza umanitaria che si verificherebbe nel caso la
situazione dovesse precipitare nel prossimo mese di maggio, quando l’Ue
deciderà il destino della Grecia.
«È dall’estate scorsa che stiamo
dando una risposta umanitaria a Lesbo, Samos, Leros, Kos, tutte le
isole sulle quali avviene la maggior parte degli sbarchi — prosegue
Morelli -. In un anno, dal 1 gennaio 2015 al 1 gennaio 2016 sono
arrivati in Grecia 927.772 rifugiati. Uomini, donne e bambini bisognosi
di tutto, da vestiti asciutti all’assistenza medica e psicologica. L’85%
del milione e più di profughi entrati in Europa ha attraversato il mar
Egeo, sopravvivendo spesso a un naufragio, e con picchi di 8.000–9.000
arrivi al giorno. Per capire però quanto potrebbe accadere nei prossime
settimane e mesi, e quindi che tipo di situazione Atene e la l’Europa
potrebbero trovarsi di fronte, basta un dato; in tutto il mese di
gennaio de 2015 ci furono in Grecia 1.694 sbarchi, contro i 60.502
registrati a gennaio di quest’anno.
Un’impennata conseguenza del
progressivo peggioramento della situazione in Siria, compresa la
conquista di nuove parti di territorio da parte di Daesh. «Chi arriva
oggi in Europa è ciò che resta della classe media siriana, spinta dalla
disperazione dopo aver perso le speranze di poter tornare nelle proprie
case. Nei campi profughi restano solo i poveri», spiega ancora
Alessandra Morelli che insieme alla responsabile relazioni esterne
dell’Unhcr in Grecia Carlotta Wolf monitora continuamente l’evolversi
della situazione. Dietro quella che si annuncia come una crisi peggiore
di quella vissuta l’anno scorso c’è anche il mancato processo di pace di
Ginevra, fallito prima ancora di nascere, insieme a una crisi libica
ancora senza sbocco.
Una realtà che sia il governo greco, che
l’Unhcr conoscono bene. E per affrontare la quale è già cominciata una
corsa contro il tempo per reperire strutture in grado di accogliere una
nuova ondata di migranti.
Da settimane il ministro per
l’Immigrazione Mouzalas, un medico con un trascorso di anni con «Medicin
du monde», sta trattando con i sindaci dei comuni ellenici alla ricerca
di posti dove alloggiare i migranti. In collaborazione con l’Unhcr per
ora ne sarebbero stati trovati 3.000 a Idomeni, al confine con la
Macedonia, 4.000 nel Pireo, altri 6.000 vicino Salonicco, a Sindos e
infine tra i 1.500 e i 4.000 nell’Attika, spesso scontrandosi con le
resistenze delle popolazioni locali. Numeri che però sembrano la
classica goccia in mezzo rispetto al mare di posti letto che
servirebbero. Per questo è stato deciso di allestire una task force
della quale fanno parte oltre ai ministeri dell’Immigrazione, della
Difesa e degli Interni, anche rappresentanti della Guardia costiera,
dell’Unhcr e delle principali ong presenti in Grecia. E come avviene
anche in Italia, si cercano strutture militari come ex caserme dismesse
dove allestire punti di accoglienza con la possibilità per i profughi di
ricevere anche un’adeguata assistenza medica. «La situazione è
straordinaria e richiede una risposta straordinaria, ma anche improntata
a una forte solidarietà verso persone che, non dimentichiamolo, stanno
fuggendo da una guerra civile che dura ormai da anni», ricorda Morelli.
Nel
frattempo il governo greco prova anche a mettersi in paro con i
«compiti» che Bruxelles gli chiede da mesi. Dei cinque hotspots previsti
a Lesbo, Leros, Kos, Samos e Kios solo uno, quello di Lesbo è
praticamente pronto. Per questo il 31 gennaio scorso è stato affidato al
ministero della Difesa il compito di portare a termine entro la metà di
febbraio, massimo per i primi di marzo, la realizzazione degli altri.
Non senza problemi, come a Kos dove l’annuncio dell’imminente apertura
di un hotspot ha provocato l’insurrezione degli abitanti. Con
un’ulteriore accelerazione sulle procedure di identificazione dei
migranti, anche se le statistiche dicono che già oggi il 78% d quanti
arrivano i Grecia è schedato e negli archivi sono raccolte le sue
impronte digitali.
L’assurdo di questa situazione è che comunque
la si metta, non è previsto un lieto fine. Se la Grecia non manterrà
fede ai suoi impegni verrà tagliata fuori dall’area Schengen con tutte
le conseguenze, politiche ma anche economiche che questa decisione
comporterà. Se invece si metterà in regola, farà i compiti come chiede
l’Unione europea, a pagare saranno le decine di migliaia di persone in
fuga da un conflitto che non sembra avere soluzione. «Per questo è
urgente creare le condizioni per permettere a chi scappa di arrivare in
Europa attraverso vie legali e scure», insiste Alessandra Morelli.
«Reinsediamenti e ricongiungimenti legali sono l’unica possibilità per
strappare questa gente ai trafficanti. Altrimenti non ci resta che
continuare a contare i morti».