il manifesto 11.2.16
Grande partecipazione di politici, economisti e movimenti alla Costituente di Varoufakis
Il partito transnazionale dell’Europa in movimento
Una dimensione transnazionale per reinventare la democrazia.
di Marco Bascetta, Sandro Mezzadra
La
forma in cui si è svolta la presentazione di DiEM 25 (Democracy in
Europe Movement 2025) si è rivelata senz’altro di forte impatto. Entrata
in scena da grande attore dell’anfitrione Yanis Varoufakis, solo sul
palco della Volksbühne per circa una mezz’ora, pubblico foltissimo,
attento per più di tre ore e molto partecipe. Al microfono si alternano
esponenti politici, di partito e indipendenti, amministratori locali,
attivisti dei movimenti, sindacalisti e nomi di grande risonanza come
Brian Eno e, in video, Julien Assange, Ada Colau, la ex ministra della
giustizia francese Christiane Toubira, Slavoj Zizek e l’economista
americano James Galbraith. Molto significativa la presenza tedesca, con
la segretaria della Linke Katja Kipping, il dirigente del sindacato
metalmeccanico IG Metall Hans-Jürgen Urban e un’attivista della rete di
movimento “Blockupy”. Ma non sono mancati interventi dall’Inghilterra,
dalla Spagna, dal Portogallo, dall’Irlanda e da altri Paesi europei, con
un forte protagonismo femminile che è stato uno dei segni più visibili
ed efficaci del meeting. Colpiva però l’assenza di voci provenienti
dall’Italia, rimasta ai margini dei nuovi processi politici europei.
L’impostazione
comunicativa scelta si presta certo a numerose obiezioni e critiche.
Nel complesso la serata è stata dominata dalla personalità di
Varoufakis, attorno a cui ruota per il momento l’intero progetto di DiEM
25. Può destare perplessità anche la prevalenza di esponenti politici,
sia pure spesso indipendenti, rispetto all’insieme eterogeneo dei
soggetti a cui l’iniziativa dichiara di volersi rivolgere. Ne è derivata
una certa ridondanza degli interventi, spesso rimasti all’interno di
quella dimensione politica istituzionale che il progetto pan-europeista
di Varoufakis si propone di eccedere. Nel suo impatto mediatico e
spettacolare, poi, l’evento non può essere facilmente riprodotto. E
rimane inoltre indefinito il modo in cui l’iniziativa possa articolarsi e
consolidarsi nel tempo. Nondimeno, valutando la giornata del 9 febbraio
nel suo insieme e nelle sue potenzialità, l’elemento dell’apertura e
della proiezione in avanti ci sembra prevalere.
Si tratterà in
ogni caso di sviluppare positivamente questa apertura dando consistenza
agli obiettivi che l’iniziativa si propone e cominciando ad affrontare
alcuni problemi che lo stesso testo del Manifesto ci consegna come
irrisolti.
Questo vale in primo luogo per l’insistito riferimento
alla democrazia, alla sua crisi e alla sua necessaria reinvenzione. Di
tanto in tanto sembra emergere la tentazione di dare una soluzione
semplice a queste difficoltà, immaginando una restaurazione delle forme
classiche della democrazia rappresentativa e una loro semplice
proiezione sul livello europeo. Anche se lo stesso Varoufakis ha
sottolineato a più riprese che la democrazia «non è uno stato ma un
processo» e che il deficit democratico delle istituzioni europee ha la
sua origine nel progressivo svuotamento della rappresentanza negli Stati
che continuano a essere gli attori principali nell’architettura
dell’Unione: tanto più dopo l’impatto combinato della crisi dei debiti
sovrani e di quella che viene definita dei migranti.
A noi pare
che la crisi della rappresentanza abbia radici strutturali tanto nei
contesti nazionali quando in quello europeo. La sfida di fronte a cui si
trova un’iniziativa come quella di DiEM 25 è precisamente quella di
reagire a questa situazione con uno sforzo di immaginazione e
innovazione politica. L’Europa può essere lo spazio in cui sperimentare
l’azione combinata di movimenti sociali, articolazioni istituzionali,
veri e propri contropoteri capaci di contrastare le politiche di
sfruttamento (dumping salariale, limitazioni dell’accesso al Welfare,
politiche di gestione dei confini e delle migrazioni, per fare qualche
esempio) che si avvalgono della frammentazione sociale della forza
lavoro e della stessa competizione fra i Paesi membri dell’Unione.
Questa azione combinata, non meramente resistenziale, deve essere
sperimentata su una molteplicità di livelli: la reinvenzione della
democrazia in Europa, in altri termini, non può essere confinata in
un’astratta dimensione istituzionale o simbolica (pensata secondo il
modello di uno Stato nazione allargato su scala continentale), ma prende
corpo nelle esperienze conflittuali che crescono in specifiche vertenze
e in specifici luoghi – ad esempio nelle “città ribelli” rappresentate
sul palco della Volksbühne dalle esperienze di Barcellona e La Coruña.
Queste
esperienze situate devono però trovare la loro espressione in una forza
politica transnazionale. Di quest’ultima abbiamo tuttavia pochi esempi,
e tutti scarsamente utilizzabili, per quanto le molte esperienze di
costruzione di reti a livello europeo rappresentino comunque una base di
riferimento essenziale. Registrando l’insufficienza dell’articolazione
nazionale della forma partito, ma anche del sindacato e dei movimenti,
l’iniziativa di DiEM 25 pone quantomeno l’urgenza di superare questa
impasse. E invita a tenere insieme proprio le dimensioni
tradizionalmente separate della politica, dell’azione sindacale e dei
movimenti sociali. Si tratta insomma di mettere a tema i limiti di un
internazionalismo fondato su basi di mera solidarietà o affinità
ideologica, e contemporaneamente di lavorare al superamento di quella
“divisione del lavoro” che affida la trasformazione sociale
all’intervento separato di diversi soggetti, ciascuno con una specifica
competenza. Un “partito” transnazionale, a cui pure qualcuno accenna,
non può semplicemente riprodurre su scala allargata la forma partito
così come ci è stata tramandata ma deve essere appunto espressione della
convergenza (e anche degli attriti) tra questi diversi soggetti. Il
punto non è, evidentemente, pensare a un lineare superamento della
distinzione tra partiti, sindacati e movimenti, ma dare positiva
espressione al moltiplicarsi dei punti di intersezione tra la loro
azione.
La questione della reinvenzione della democrazia si
incrocia qui necessariamente con quella delle trasformazioni del
capitalismo, del lavoro e delle stesse forme di vita in Europa. È un
tema di cui non si è parlato molto durante l’evento berlinese, se non
per denunciare l’immiserimento materiale e politico di settori sempre
più ampi di popolazione. Considerare i soggetti sociali semplicemente
come vittime dell’austerity (o delle politiche di controllo dei confini
nel caso dei migranti) finisce per riproporre la delega a una forza
politica incaricata di riscattare questi soggetti dalla miseria e dalla
subordinazione. Altra ci sembra che dovrebbe e potrebbe essere
l’ambizione di un progetto come quello di DiEM 25: legare cioè in modo
diretto la questione della democrazia al ruolo che una nuova
costellazione di forze materiali svolge nella produzione della ricchezza
sociale. Tutt’altro che marginali o sprovvedute, queste figure
produttive – per le quali la libertà di movimento è un esercizio
imprescindibile – costituiscono con le loro pratiche e con le loro lotte
la base fondamentale su cui può essere oggi impiantata una democrazia
non racchiusa nei confini nazionali.