Corriere Salute 28.2.16
Da Carlo Magno a Noam Chomsky
di E. M.
Si
dice che Carlo Magno abbia detto: «Conoscere una seconda lingua
significa possedere una seconda anima». Ne era convinto anche il
linguista americano Benjamin Lee Whorf che, nel 1940, postulò la teoria
secondo cui il linguaggio plasma il cervello al punto che due persone
con lingue differenti saranno sempre cognitivamente diverse. Tale tesi
passò di moda con gli studi di Noam Chomsky, che negli anni 60 e 70
propose la teoria di una “grammatica universale”, ovvero basi generali
comuni per tutti i tipi di linguaggio.
A partire dagli anni 80,
però, alcuni studiosi hanno iniziato a rivalutare Whorf, depurando la
sua teoria dagli eccessi: così oggi sappiamo che, al di là di fondamenta
concettuali simili, ogni linguaggio sottende una sua “visione del
mondo” e la infonde, almeno in parte, in chi lo parla. Un esempio è il
senso di colpa e di giustizia: in inglese se un vaso si rompe si
sottende sempre la presenza (e quindi la responsabilità) di qualcuno, in
spagnolo si tende a dire che il vaso si è rotto. Secondo alcuni proprio
da questo dipende la tendenza anglosassone a punire chi trasgredisce le
regole, più ancora che risarcire le vittime.
E. M.