Corriere Salute 21.2.16
Medici sull’orlo di una crisi di nervi
Riconoscimenti «Se salviamo una vita piccole lodi, ma se facciamo un errore punizioni severissime»
Aumentano
in tutto il mondo i casi di «esaurimento emotivo» fra i dottori, messi
all’angolo da tempi stretti, incombenze burocratiche e timori legali
Turnover Rallenta il ricambio della «forza lavoro» mentre accelerano i ritmi d’aggiornamento
di Danilo di Diodoro
Peggiora
il benessere personale e lavorativo dei medici. Lo indicano sondaggi
realizzati da vari gruppi di ricerca, come quello della Mayo Clinic di
Rochester, negli USA, o del gruppo Medscape, sito di informazione
destinato a medici e altre figure sanitarie, oltre che ai cittadini (si
veda sotto).
La ricerca realizzata dalla Mayo Clinic su circa
6.900 medici americani mostra come sia sempre più diffusa la cosiddetta
sindrome del burnout , un esaurimento emotivo causato dal lavoro, che si
traduce in una sensazione di perdita di significato del proprio operato
e in una tendenza a considerare le persone come oggetti. Una condizione
che incide non solo sul benessere del medico, ma anche sulla qualità
delle cure al paziente.
Secondo James Duke, professore di
Psicologia ed Economia comportamentale della Duke University, e William
Lanier, direttore della rivista Mayo Clinic Proceedings , ci sarebbero
diverse cause a monte di questo incremento di malessere tra i medici.
Una
sarebbe la cosiddetta “asimmetria di riconoscimento”. «Quando facciamo
quello che ci si aspetta da noi riceviamo al massimo una piccola lode.
Ma quando commettiamo un errore è molto probabile che saremo puniti
duramente» dicono nel loro editoriale.
Ricordano che esistono
rilevazioni sui morti causati dagli errori medici (dai 44 mila ai 98
mila all’anno negli Usa), ma non si parla dell’enorme numero di vite
salvate o migliorate dall’assistenza sanitaria.
Un’altra causa di
malessere sarebbe da ricercare nella perdita di autonomia del medico,
costretto tra rigidi tempi di esecuzione delle visite o dei suoi
interventi e la necessità di ottemperare a incombenze di tipo
burocratico, che portano via tempo prezioso alla relazione
medico-paziente.
«Sia le organizzazioni sanitarie come datori di
lavoro, sia gli Ordini dei medici, possono contribuire ad affrontare
questi problemi» dice Angelo Fioritti, direttore sanitario dell’Azienda
Usl di Bologna, «ma occorre innanzitutto comprendere le cause di questo
fenomeno, anche se, nel nostro Paese, in assenza di ricerche rigorose, è
una sensazione non ancora sostenuta da dati certi. Oggi si sa che molti
fattori concorrono a ridisegnare l’identità del medico nel Servizio
Sanitario Nazionale, come l’invecchiamento progressivo della classe
medica e l’esigenza di aggiornamenti sempre più rapidi. L’organizzazione
d’équipe del lavoro da un lato aumenta le capacità di specializzazione,
ma riduce gli spazi di relazione diretta con il paziente. Le conoscenze
scientifiche impongono di seguire procedure di riconosciuta efficacia,
ma limitano la libertà di azione del medico. Le recenti disposizioni
europee sull’orario di lavoro hanno il lodevole intento di proteggere i
professionisti della sanità da turni eccessivi, ma generano una
demoralizzante equiparazione al lavoro impiegatizio».
Inoltre, lo
sviluppo delle competenze di professioni tecniche ed infermieristiche
sta rendendo meno definita la leadership medica, mentre l’aumento delle
conoscenze nella popolazione ridisegna su basi paritetiche il rapporto
medico-paziente, ma fa aumentare i contenziosi medico-legali. «Alcune di
queste cause sono prevenibili — dice ancora Fioritti —, altre meno. È
tempo di costruire un’identità del medico adatta alle sfide del nuovo
millennio, e la formazione è sicuramente uno strumento importante, così
come la collaborazione tra Ordini professionali e istituzioni sanitarie,
che può servire a identificare casi di burnout e lavorare per il loro
recupero».