Corriere La Lettura 7.2.16
L’aldilà «democratico» che fece della Chiesa una potenza economica
di Marco Rizzi
Verso
la fine del VII secolo, il vescovo di Toledo, Giuliano, compilò una
vasta antologia di testi degli antichi Padri della Chiesa latina sul
destino dell’anima dopo la morte. Il suo intento era confortare un amico
malato, Idalio vescovo di Barcellona, che sentiva prossimo l’arrivo
della fine. Nei fatti, il Prognosticon futuri saeculi , che si traduce
con «Preannuncio del mondo che verrà», divenne uno dei testi più
conosciuti e diffusi nel Medioevo. Raccogliendo pagine dagli scritti di
Cipriano, vescovo di Cartagine alla metà del III secolo, di Agostino, di
Gregorio Magno e di altri ancora, Giuliano di Toledo si sforza di
offrire risposte coerenti alle domande che angosciavano i cristiani dei
suoi giorni: cosa accade all’anima quando si muore? Le anime dei defunti
rimangono in rapporto con le cose di questo mondo? E soprattutto, cosa
accade nel lungo intervallo di tempo che separa il momento della morte
individuale dal giorno, terribile ma ancora lontano, del Giudizio
universale, quando si consumerà il destino irreversibile di ciascuno e
l’anima sarà restituita al corpo rigenerato per la beatitudine o la
condanna eterna?
Proprio dall’antologia di Giuliano (che si può
leggere nella recente traduzione di Tommaso Stancati per l’Editrice
Domenicana Italiana di Napoli) prende avvio il saggio di Peter Brown Il
riscatto dell’anima (Einaudi), che ripercorre il formarsi
dell’immaginario escatologico del cristianesimo occidentale tra il III e
il VII secolo, assumendo però un punto di vista particolare: quello del
rapporto tra le ricchezze di quaggiù e il destino delle anime di lassù,
se si vogliono utilizzare le parole di Gesù che, nel Vangelo di Luca,
ammonisce a vendere ciò che si possiede e darlo in elemosina per
costruire un tesoro nei cieli.
Nel mondo antico, la gloria
dell’immortalità era riservata solo a pochi spiriti eletti, i filosofi, i
grandi legislatori, gli eroi; la morte non cancellava, anzi in qualche
misura ribadiva, la gerarchia sociale presente sulla Terra. Il
cristianesimo introduce invece quella che Brown definisce una
«democrazia delle anime», anzitutto riconoscendo a ciascun uomo, a
prescindere dalla sua condizione, una propria natura spirituale,
testimoniata appunto dall’anima individuale; poi, assegnandole la
possibilità di guadagnarsi la salvezza e conseguire così l’immortalità.
Se nei primi tre secoli la condizione di marginalità o addirittura di
persecuzione rendeva la scelta stessa di essere cristiani meritevole
della ricompensa celeste nel giorno del Giudizio, o addirittura nel caso
dei martiri nel momento stesso della morte, a partire dal IV secolo il
problema inizia a porsi in termini profondamente diversi. Agostino non
si preoccupa di chi è veramente buono (i martiri e i santi) o di chi è
intrinsecamente malvagio: i primi godranno del paradiso, i secondi sono
destinati all’inferno. Ma che dire di coloro che non sono né abbastanza
buoni, né abbastanza cattivi, ovvero della grande maggioranza dei
cristiani comuni? Come potranno purificarsi dai loro peccati, una volta
defunti e in attesa del Giudizio?
Proprio intorno a interrogativi
del genere si determina un significativo cambiamento nell’uso cristiano
della ricchezza. Fino a questo momento, l’elemosina elargita ai poveri
serviva al credente per obbedire al comando di Gesù e prepararsi un
posto in cielo. Ora, invece, l’anima del defunto resta bisognosa anche
nell’aldilà: beneficare i poveri sulla Terra contribuisce a riscattare
le anime nei cieli. Così la Chiesa assume un ruolo centrale nella
gestione della ricchezza, a mezzo tra cielo e terra. I beni offerti per
il sostentamento degli indigenti o per l’edificazione degli edifici di
culto rappresentano una sorta di cambiale che il donatore, ricco o meno
che sia, potrà incassare dopo la sua morte sotto forma di preghiere e di
intercessioni; a sua volta, la Chiesa si fa garante della conservazione
e del corretto uso dei beni ricevuti, che divengono un vero «patrimonio
dei poveri».
Naturalmente in questo processo si intrecciano in
forma tutt’altro che lineare dibattiti teologici, mutamenti culturali,
trasformazioni sociali. Ancora alla fine del VI secolo, l’idea antica
secondo cui l’immortalità era riservata alle anime elette, questa volta
però martiri e santi, riemergeva nelle parole di un membro del clero di
Tours secondo cui nel caso dei peccatori — ovvero della stragrande
maggioranza dei cristiani — andavano prese alla lettera le parole
rivolte da Dio ad Adamo: «Polvere sei e polvere ritornerai». Nessuna
offerta, nessuna preghiera poteva redimere le anime comuni. Ma era ormai
aperta la strada che avrebbe portato ai grandi possedimenti
ecclesiastici, alla comparsa del purgatorio, nella seconda metà del XII
secolo, e «alla somma Divina Commedia di Dante Alighieri» — conclude
Brown.