Corriere La Lettura 7.2.16
Nudo, il (non) comune senso del pudore
di Arturo Carlo Quintavalle
Lo
sappiamo, i greci inventano, nel V secolo a. C., il corpo nudo come
proporzione, armonia. Eppure la Venere capitolina , Venere Pudica perché
si copre seni e sesso, copia romana dalla Afrodite cnidia di
Prassitele, la Leda col cigno da Policleto, il Dioniso , sono state
censurate ai Musei Capitolini di Roma in occasione della visita del
presidente iraniano il 26 gennaio.
La vicenda ha molti precedenti.
Il più noto: alla fine del Concilio di Trento, appena morto
Michelangelo, Daniele da Volterra, nel 1565, copre le nudità del
Giudizio Universale .
Ma la presenza dei corpi umani, anche nudi,
dipende dalle ideologie. Infatti, delle «religioni del Libro» la
ebraica, salvo che agli inizi, rifiuta le immagini e quella islamica
permette solo di raffigurare alberi, animali: così i mosaici nel cortile
della Grande Moschea di Damasco o quelli della Moschea di Omar a
Gerusalemme. Maometto, che alla Mecca aveva distrutto tutti gli idoli,
suggerisce nella XXIV Sura detta «della luce»: «Dì alle credenti che
abbassino gli sguardi e custodiscano le loro vergogne e non mostrino
troppo le loro parti belle, e si coprano i seni d’un velo e non mostrino
le loro parti belle che ai loro mariti o ai loro padri o ai loro
suoceri o ai loro figli… o ai loro servi maschi privi di genitali».
Difficile
il passaggio delle immagini del nudo dal mondo romano al mondo
cristiano. Le antiche statue femminili conservate nei musei in genere
sono state scoperte in età moderna, per questo sono scampate alla
falcidie voluta dai cristiani di migliaia di opere, atleti e divinità,
retori e imperatori che illustravano teatri e anfiteatri, fori e templi
da Occidente a Oriente.
Certo, dal XV secolo in poi, il nudo
antico diventa meta del collezionismo a Roma e in Occidente. Così la
Venere di Milo (130 a. C.) ora al Louvre, scavata nel 1820 e portata in
Francia nel 1821; così la Venere dei Medici , ora agli Uffizi, di fine I
secolo a.C., che nel 1803 viene portata al Louvre e restituita nel
1815: era tale la sua importanza che, per sostituirla, viene dato
incarico ad Antonio Canova di scolpire una nuova Venere, battezzata
Venere Italica , ora a Pitti (1804-1812).
Eppure proprio quel
mondo cristiano che ha distrutto i nudi dell’antico rappresenta il nudo
in almeno due momenti precisi del proprio racconto: i Progenitori nel
Paradiso terrestre e il Giudizio Finale. Quando Wiligelmo scolpisce a
Modena (1099-1110 circa) le sculture della Genesi mostra la Cacciata dal
Paradiso di Adamo ed Eva . Scrive la Bibbia: «Il signore Dio chiamò
l’uomo e gli disse: dove sei? Rispose: ho udito il tuo passo nel
giardino, ho avuto paura perché sono nudo, e mi sono nascosto». Dunque
la vergogna della nudità è prova della trasgressione; del resto Maometto
nella Sura VII «del Limbo» scrive: «(e Satana ) li trascinò in errore, e
quando ebbero gustato i frutti dell’albero, apparvero le loro vergogne e
presero a coprirsi con foglie del Giardino».
I nudi dei Giudizi
Finali del medioevo cristiano sono diversi: nudo composto nella
resurrezione dalle tombe dei beati; nudo scomposto , segnato dalla
violenza dei castighi, quello dei dannati. L’Occidente cristiano è ricco
di questi Giudizi, dal tempo romanico al gotico, da Torcello a
Sant’Angelo in Formis, dal Battistero di Firenze a Chartres, da
Notre-Dame al Giotto degli Scrovegni a Padova.
Nel XV secolo
l’antico viene recuperato come modello e, attraverso Vitruvio, l’idea
della proporzione del corpo come ordine del mondo si impone in Toscana
da Donatello a Leonardo a Michelangelo nel suo David , mentre Leon
Battista Alberti, nel Della Statua (1450 circa) intende l’atto creativo
come rappresentazione dell’Idea platonica.
Ma scolpire è anche
racconto e la rivoluzione ha una data, il 1506, quando a Roma viene
scoperto il gruppo ellenistico del Laocoonte e subito pittori e scultori
mettono in scena quel modello, prima Michelangelo nella volta della
Sistina, quindi Raffaello nella Cacciata di Eliodoro nelle Stanze
Vaticane. Perché, come scrive Ascanio Condivi nella sua Vita di
Michelangelo (1553), «più volte (egli) ha avuto in animo, in servigio di
quelli che vogliono dare opera alla scultura e pittura, far un’opera
che tratti di tutte le maniere de’ moti umani e apparenze» — dunque
dipingere, scolpire, è rappresentare le passioni, come nei nudi Prigioni
di Michelangelo per la tomba di Giulio II in San Pietro, mai finita,
come nel Giudizio della Sistina.
Dopo la Controriforma la
rappresentazione della figura scolpita diventa funzionale e di classe:
un certo tipo di nudo viene riservato alla privata raccolta del
committente, il cardinale Scipione Borghese che nel 1623-25 fa scolpire
al Bernini Apollo e Dafne dove mondo vegetale e figura umana si fondono;
e il nudo torna come evocazione dell’antico nella Fontana dei fiumi a
Piazza Navona (1648-1651). Bernini poi, ai nudi contrappone la figura
vestita, ma densa di sensuale tensione erotica, dei monumenti destinati
alla pietas dei fedeli, come quello alla Beata Ludovica Albertoni di San
Francesco a Ripa a Roma (1673-1674).
In pittura, si propone una
storia diversa dalla proporzione toscana. Così Jan e Hubert van Eyck nel
Polittico dell’Agnello Mistico a Gand scavano, con analitico realismo, i
corpi di Adamo ed Eva; così Albrecht Dürer, nei due Progenitori al
Prado (1507), mette a frutto il viaggio a Venezia e inventa un nuovo
spazio. In Italia invece, ancora agli inizi del Cinquecento, domina la
riflessione neoplatonica: ecco dunque Giorgione proporre nella Venere di
Dresda (1508) conclusa da Tiziano, un cosmico rapporto fra natura e
figura, come fa Leonardo nei suoi pochi, densissimi dipinti, mentre lo
stesso Tiziano, nella Venere di Urbino (1538) esalta il nudo femminile
creando una scena diversa, laica, veritiera che Velázquez trasforma
nella sua Venere allo specchio di Londra (1650) in sottile,
controriformistico memento mori .
Questa rivoluzione nel racconto
del nudo che, da sublimato, diventa dolorosamente corrotto, aveva avuto
un nuovo inizio con Caravaggio, ad esempio nella Deposizione dei Musei
Vaticani (1604) che diventa modello per la pittura europea mentre
Rubens, ad esempio nell’ Ercole della Sabauda a Torino, evoca la
statuaria antica con i colori di Veronese e Tintoretto. E nell’Ottocento
proprio Veronese viene citato, con Tiziano, nei nudi di Renoir mentre
Degas, per le sue ballerine, dialoga con l’arte del Seicento, quella di
Vermeer.
La fine del mito del nudo all’antica la segna Picasso con
le Demoiselles d’Avignon (1907), lui che prima meditava, nei dipinti
del Periodo Rosa, sul classicismo di David. Oggi il nudo si propone in
modo ambivalente: da una parte la foto di cronaca con la violenza sui
corpi e i serial americani che li mostrano sui tavoli di dissezione;
dall’altra il consumo del nudo nelle pubblicità e nei reality alla
ricerca di improbabili Adami ed Eve su un’isola dei famosi.