domenica 28 febbraio 2016

Corriere La Lettura 28.2.16
L’abisso dei crimini rituali Infanzia sacrificata in Africa
I bambini vittime di omicidi, le ragazzine immolate come kamikaze, la caccia ai «baby stregoni». C’è un filo che spiega l’aumento di queste violenze
ai danni di minori del continente? Un’antropologa forse l’ha trovato.
È un filo che tocca anche i giovani «foreign fighters» che si uniscono all’Isis
di Michele Farina


Le kamikaze di Boko Haram, i bambini sventrati sulle spiagge del Gabon, le piccole vittime di sacrifici umani (nel Sahel ma anche in Nepal), gli enfants-sorciers perseguitati in Congo o nel Sud della Nigeria, le migliaia di talibés (allievi coranici in Africa occidentale) a potenziale rischio di reclutamento nella filiera dei gruppi jihadisti, così come i ragazzi in partenza dall’Europa per diventare foreign fighters con l’Isis. C’è tutto un popolo di minori e di giovani che vengono immolati o si immolano. Quale filo li lega? Chi o che cosa può spiegare l’aumento della violenza rituale ai danni dei bambini (e dei loro fratelli maggiori)?
Lo dicono gli studiosi, le Ong. Si parla di «revival sacrificale». Non ci sono numeri a dare la misura precisa di tale voragine. Elisa Pelizzari è un’antropologa torinese che ha studiato (e percorso zaino in spalla, girando l’Africa) i sentieri che ci ruotano intorno. Sul tema « enfance et sacrifice » ha pubblicato un libro, uscito nel 2014 per l’editrice L’Harmattan Italia che dirige, in cui si dà anche voce a un padre che ha perso il figlio in un «crimine rituale» in Gabon. Sarebbe più comprensibile sentirle dire che tutto ciò rientra nel faldone della «follia umana» o del «traffico di organi».
Alla base del «sacrificio rituale dell’innocente», sostiene invece Pelizzari, c’è un tratto che accompagna la storia dell’umanità. «È il tema dell’accesso al mondo divino, sovrannaturale, che ci domina e noi non controlliamo. Come avvicinarsi a tale dimensione che ci è estranea, ma dalla quale siamo condizionati? Ci vuole un’intermediazione, e questa intermediazione è il sacrificio rituale. Con due valenze: il sangue, nel senso più letterale del termine; e la sua forma edulcorata, ad esempio un’offerta o il bruciare incenso. Questi elementi culturali hanno carattere universale, come direbbe un antropologo alla Lévi-Strauss. Tutte le comunità umane hanno conosciuto la dimensione sacrificale, pur declinata in maniera diversa nel corso della storia». Perché i bambini? «Non si immola il cattivo ma l’essere più puro. Il sacrificio richiede una vittima, l’agnello, nella cultura di matrice giudaico-cristiana. È come se un innocente dovesse venire sacrificato per l’ottenimento di un bene personale o collettivo». Certo, si tratta di una logica disturbante, ma «è la logica del sacrificio. I foreign fighters dell’Isis che perseguitano per esempio gli yazidi noi li vediamo come serial killer assetati di sangue, non come persone che credono in un progetto e vogliono realizzarlo. Il vero problema, all’origine dei crimini, è che loro hanno assolutizzato il progetto».
Per quanto suoni inaccettabile, «nella logica del sacrificio esiste, appunto, una logica. C’è il risultato che si prefigge il committente, il quale si rivolge a qualcuno che ha competenze magico-religiose peculiari e la possibilità di trovare la vittima». Gli obiettivi sono molto concreti, materiali. Nel contesto africano, dice Pelizzari, «una persona che vuole diventare presidente della Repubblica farà certo campagna elettorale. E una squadra di football cercherà i giocatori migliori. Ma se vogliono vincere, e credono che esista comunque un altro universo — quello sovrannaturale, qualificabile come il regno della notte — l’aspirante presidente e il dirigente di calcio ricorreranno alla logica sacrificale e ai suoi mediatori. La vittima potrà essere un animale, il rito potrà limitarsi a un’offerta votiva. Ma noi sappiamo che ci sono altri casi: più è grande la richiesta fatta al mondo dell’invisibile, più grande e puro dovrà essere il soggetto sacrificato. E cosa c’è di più perfetto di un bambino, un bambino che magari studia le scritture sacre?».
Ma tutto ciò non riguarda una frangia minoritaria della popolazione? «Nel mondo africano il contatto con l’invisibile è onnipresente. È qualcosa che permea tutto. Magia e razionalità sono logiche che coesistono. Si va all’ospedale e si va dal marabout . Non c’è contraddizione». I marabutti sono insegnanti e rappresentano la figura religiosa chiave delle scuole coraniche itineranti e informali dell’Africa musulmana. In Senegal, ad esempio, guidano un gregge di almeno 50 mila bambini: sono i talibés , tenuti a memorizzare il Corano per anni, mandati sovente nelle strade a chiedere la carità, per coltivarne l’umiltà, la dedizione al maestro e lo spirito di obbedienza. Nelle strade nigeriane si chiamano almajiri : secondo l’Unicef sono dieci milioni, il 25% vive negli Stati del Nord Est dove imperversa Boko Haram. Un bacino immenso di «vittime sacrificali» da cui pescare i baby kamikaze. Pelizzari ha studiato in modo approfondito, in Senegal e Mali, i meccanismi alla base del fenomeno dei talibés mendicanti e dei marabouts : «Va notato che il termine marabout designa, in origine, personalità versate nella conoscenza dell’islam e nell’educazione alla fede ma, nella vulgata popolare, si riferisce pure a individui iniziati a pratiche occulte, dette maraboutages . Questi insegnanti sono personaggi potenti, che hanno l’appoggio dei committenti, di quanti si rivolgono a loro per mediare con l’universo della notte. Nelle loro mani, i talibés divengono purtroppo oggetti da manipolare a piacimento. I genitori affidano ai marabouts i figli, con il pretesto di formarli alla fede, ma talvolta per liberarsi di bocche da sfamare. Negli anni Settanta queste scuole non avevano ancora carattere itinerante e c’era più controllo da parte delle famiglie».
Urbanizzazione, rottura del tessuto sociale, contrasti generazionali sono altri fattori cruciali: «Nessuno oggi chiede conto al marabout di come ha trattato un bambino o dove ne è finito un altro. Se qualcuno commissiona un sacrificio, lui ha tutto l’armamentario. E un bacino di vittime». E le famiglie? «Nessuno oserebbe andare contro un marabout . A lui chiedono consiglio uomini d’affari, politici, poliziotti. Gli vengono riconosciuti poteri esoterici. Chi si permetterebbe di denunciare la sparizione di un bambino in teoria affidato a un maestro coranico? Tanto più se si crede, a torto, che un talibé perito (sacrificato?) durante il periodo di apprendistato religioso sia in grado di garantire alla famiglia la salvezza eterna». Pure «il cristianesimo, in Africa, sperimenta logiche analoghe, che spaziano dalla superstizione cieca a pratiche inaccettabili. Pensiamo a un Paese come la Repubblica Democratica del Congo: chi soffia sulla violenza ai danni dei cosiddetti enfants-sorciers , i bambini stregoni? I movimenti evangelici (ma non solo) evocano continuamente la presenza satanica e il tema esorcistico».
Il discorso delineato sembra contrastare con la narrativa dell’«Africa Rising», della crescita, la modernizzazione.... «Ma trattiamo di società in crisi; penso alle guerre, ma anche alle pesanti disuguaglianze. In molti Paesi è evidente come sia falsa la teoria capitalista per cui tutti possono riuscire e avere successo, in base alle proprie capacità. Il ricorso alla dimensione notturna dell’invisibile diventa allora un’opzione complementare, sia quando si fa parte degli esclusi dal benessere, sia quando si è tra i privilegiati, perché la paura di finire nella polvere permane». In Africa, fortuna e disgrazia si guardano allo specchio. E così succede che, per costruire una casa, o per diventare (restare) presidente della Repubblica, si ricorra al sacrificio di un innocente. Può essere l’asportazione di un arto, o di una vita intera. «In un’ottica comparativa, attenta a non soffocare le specificità dei vari contesti», è possibile, secondo Pelizzari, analizzare la realtà dei foreign fighters che partono per la Libia o la Siria come «giovani permeabili e modellati sulla base di certi insegnamenti, analogamente al caso dei talibés ».