Corriere La Lettura 28.2.16
Un patto tra scienza e fede
La 
relazione tra le «due verità» è sempre stata complicata, si è 
aggravata con Darwin e sembra divenuta inconciliabile, oggi con la 
genetica e la bioetica
E tuttavia è questo il momento, come ha detto il Papa, di «un dialogo intenso e produttivo»
di Giuseppe Remuzzi
Fede
 e libertà a rigor di logica dovrebbero andare insieme. Ma oggi — come 
per molti versi in passato — il rapporto tra fede e libertà sembra venir
 meno. C’è chi viene ucciso a causa della sua fede e tanti che in nome 
di Dio giustificano barbarie e atti terroristici; come se dopo millenni 
di civilizzazione fossero ancora gli istinti più primordiali a prevalere
 sulla ragione. Come uscirne? Con la scienza forse. Chissà che non sia 
proprio questa forse la via per assicurare un futuro all’umanità.
Ma
 i rapporti fra scienza e fede sono stati sempre difficili e oggi per 
certi versi lo sono anche di più. E pensare che tanto tempo fa san 
Tommaso — l’aquinate, non l’apostolo del dubbio — aveva provato a 
conciliare scienza e fede («la doppia verità» come si diceva allora) e 
ci era quasi riuscito. Se filosofia naturale — che è poi scienza — e 
teologia sono in disaccordo, scriveva, ci sono tre spiegazioni 
possibili: forse la scienza non ha ancora tutte le evidenze che si 
potrebbero avere, oppure la religione non ha saputo interpretare in modo
 abbastanza accurato i testi sacri, ma potrebbe essere che né scienza né
 religione abbiano saputo arrivare abbastanza vicino alla verità. Non fa
 una piega e a pensarci bene è strano che partendo da presupposti così 
solidi (che venivano poi dalla filosofia greca, quella di Aristotele 
soprattutto, fatta di logica, matematica e fisica) scienza e fede non 
abbiano trovato il modo di superare la «doppia verità» e arrivare a una 
visione comune del mondo e del destino dell’uomo.
Purtroppo quello
 che Sant’Agostino e San Tommaso avevano contribuito a creare, la Chiesa
 l’ha dissipato nel giro di tre secoli al punto che le «due verità» sono
 diventate inconciliabili con la condanna di Galileo. Lasciamo parlare 
lui: «Era ne’ miei intenti di far la Chiesa partecipe delle nuove 
mirabili verità. Quella Chiesa che, depositaria del sapere, giudice era 
vigile e saldo di tutto quel che in Italia si scriveva allora: fuori di 
lei non v’era che ’l silenzio, scelta che fusse o imposizione. La 
museruola che serrava la bocca di Giordano Bruno mentre che, denudato, 
era trascinato al rogo, era per me prova assai accomodata a significar 
le intenzioni della Curia. Non più parole dalle labbra di Francesco 
Pucci quando la testa era rotolata nel paniere. Soltanto Tommaso 
Campanella s’adoprava a vincer il silenzio seguitando a scriver nel 
ristretto del carcere dov’era per passar ventisett’anni della vita sua. 
Ma, concederete a me, qual sostegno efficace della Chiesa giugnerarìa 
potuto! Se la Terra si muove de facto, noi non possiamo mutar la natura e
 far ch’ella non si muova: chi segue il sensato discorso segue un duce 
non fallace. Mi illudevo che, superata l’inizial resistenza al nuovo, la
 forza del fondato ragionamento avrebbe prevalso sulle posizioni non 
dimostrate né necessarie, la cui sola efficacia stava nell’esser 
inveterate nelle menti de gli uomini. Fu forse l’errore mio più grande: 
un errore che per sicuro rifarei quando di nuovo percorrer dovessi il 
cammin della vita, atteso che stimo la ragione la sola adequata iscorta a
 sortir d’oscurità l’uomo, e a quietar la sua mente».
A pensarci 
bene però le teorie e gli scritti di Galileo non contraddicono del tutto
 l’idea di una teologia naturale (e non era nemmeno nelle sue intenzioni
 farlo), i fenomeni fisici si sarebbero comunque potuti spiegare come 
«cammino della creazione, secondo il disegno della infinita bontà, 
sapienza e potenza di Dio». Insomma, si apriva un nuovo spiraglio, 
scienza e fede avrebbero potuto trovare un punto d’incontro più 
challenging come dicono gli anglosassoni, ma non meno stimolante. Ma 
l’illusione di arrivarci è durata poco. Darwin con la sua teoria 
dell’evoluzione — che sulle prime è osteggiata anche dagli scienziati, 
ma che trova poi una valanga di conferme empiriche — rovina tutto. Un 
creatore adesso non serve più, da Darwin in poi si dovrà riconoscere che
 siamo frutto di un processo evolutivo governato sostanzialmente dal 
caso. La domanda fondamentale non è più «da dove veniamo?», ma «chi 
siamo? e perché siamo proprio così?».
Le evidenze a favore 
dell’evoluzione con il passare del tempo diventarono schiaccianti, 
specie da quando siamo stati capaci di decifrare il codice della vita. 
Come conciliare il Dio creatore con il fatto che tra noi e lo scimpanzé 
c’è un’analogia nel Dna che va dal 97 al 99 per cento? È anche per 
questo che gli scienziati non credono. Con pochissime eccezioni: David 
Lodge, professore di scienza dell’ambiente a Parigi, uno di quelli che 
invece hanno fede, ha provato a spiegare su «Nature» di qualche mese fa 
che persino il paradosso della «doppia verità» si può riconciliare.
In
 fondo basterebbe trovare un’interpretazione teologica della teoria 
dell’evoluzione; se fosse convincente e si basasse su argomenti logici e
 inoppugnabili potrebbe mettere d’accordo tutti. Anche perché, secondo 
lui (ma è anche l’idea di molti altri, basta leggere Biological 
Evolution: Facts and Theories , curato da Gennaro Auletta, dal gesuita 
Marc Leclerc e da Rafael A. Martinez e pubblicato da Gregorian and 
Biblical Press, 2011) non c’è nulla nella teoria dell’evoluzione che 
contraddica la fede. Ma come la mettiamo con la creazione? Secondo Lodge
 sarebbe un’invenzione letteraria piuttosto recente basata su 
un’interpretazione estrema e letterale dei primi tre capitoli del libro 
della Genesi . Sarà davvero così? Non lo so e forse non lo sa nessuno, a
 quanto pare nemmeno i grandi teologi del passato, ma perché non provare
 a spostare questa controversia su un altro piano?
Sarebbe un 
peccato se le discussioni mai sopite attorno a Galileo e a Darwin 
facessero perdere di vista tutto quello che in tutti questi anni la 
scienza ha avuto dalla Chiesa. Il supporto economico tanto per 
cominciare, che è servito alla scienza per crescere e affermarsi. Chi 
pagava nel Medioevo, un periodo fertile di scoperte scientifiche, perché
 preti e monaci potessero accedere a una formazione universitaria? Non 
solo, ma la «filosofia naturale» dei greci e degli arabi, la scienza di 
allora, fu parte integrante della formazione degli uomini di Chiesa per 
secoli. Fu proprio la fede che indusse Copernico a rigettare le tesi di 
Tolomeo: voleva capire di più delle regole che governano l’universo.
La
 genetica moderna, guarda caso, nasce nel giardino di un convento. E chi
 se non i gesuiti diffuse la scienza in tutta Europa? Che a quell’epoca 
serviva per capire il creato e non c’era altra ragione per dedicarsi ad 
essa se non la curiosità di scoprire quanto tutti consideravano opera di
 Dio. E fu così per tutto il Settecento e anche oltre (è solo dal 1830 
che in Germania si cominciano a impiegare i primi scienziati 
nell’industria chimica). James Hannam, fisico inglese e autore del libro
 La genesi della scienza , in un testo del 2001 fa notare che scienza e 
religione sono the two most powerful intellectual forces del pianeta. Se
 è così, e se davvero hanno a cuore il futuro dell’umanità, allora 
uomini di scienza e gente di fede dovrebbero lavorare insieme.
Solo
 che le divergenze fra noi e loro sono ancora troppe (o forse lo erano).
 Su embrioni, fecondazione assistita, aborto e decisioni di fine vita, 
solo per fare qualche esempio, scienza e fede sono su fronti opposti, ma
 a ben vedere si tratta di posizioni che si sono cristallizzate con gli 
anni e soffrono di semplificazioni eccessive.
Facciamo un esempio:
 gli scienziati sono convinti che gli embrioni — quelli che se no si 
butterebbero via — possano, anzi debbano essere utilizzati per la 
ricerca con l’obiettivo che questo un giorno possa servire a curare 
tante malattie dell’uomo. Gli uomini di Chiesa sono decisamente contro; 
il loro argomento è che un embrione, per quanto fatto di poche cellule, 
sia già una creatura di Dio e l’uomo non ha nessun diritto di sopprimere
 una vita. Ma quando comincia davvero la vita? Su questo non c’è accordo
 nemmeno fra chi crede. Buddhisti, induisti e cattolici ritengono che la
 vita abbia inizio al momento del concepimento. Per i protestanti la 
questione è più complessa e non c’è un’interpretazione univoca (forse al
 momento del concepimento o dell’impianto del prodotto del concepimento 
nell’utero e anche dopo). Per gli ebrei l’inizio della vita è un 
processo continuo, inizia 40 giorni dopo il concepimento e si completa 
nelle settimane successive. Per l’islam lo spirito entra nel feto dal 
quarto mese di gravidanza: è in quel momento che comincia la vita.
«Dispute
 teologiche»? Mica tanto, queste teorie hanno una ricaduta sulla 
pianificazione delle nascite — un tema cruciale per il futuro del nostro
 pianeta — e sulla pratica della medicina.
Al di là di utilizzare o
 meno le cellule embrionali c’è la questione della contraccezione. I 
buddhisti si oppongono a metodi contraccettivi che ostacolino l’impianto
 del prodotto del concepimento. I cattolici sono per i metodi naturali 
che prevedono l’astensione dai rapporti nei periodi fertili. I 
protestanti accettano farmaci contraccettivi e preservativi ma non la 
spirale e la contraccezione d’emergenza. La religione ebraica accetta 
sia contraccettivi orali che spirale ma proibisce il preservativo. I 
musulmani sono divisi su questo come su molti altri punti. Come si vede è
 tutto relativo e questi sono solo due esempi.
L’intervento medico
 che ha contribuito più di ogni altro a proteggere la vita dell’uomo 
sono i vaccini. Ma cristiani ed ebrei hanno eretto barriere contro le 
vaccinazioni: «Chiunque procede alla vaccinazione cessa di essere figlio
 di Dio: il vaiolo è un castigo voluto da Dio, la vaccinazione è una 
sfida contro il Cielo», diceva Papa Leone XII alla fine del Settecento. 
La forza dell’evidenza scientifica poi ha prevalso e oggi non c’è più 
nessuno che metta in dubbio il valore delle vaccinazioni, nemmeno tra 
gli uomini di fede, con qualche eccezione però. Nonostante i leader 
islamici si siano espressi recentemente a favore delle vaccinazioni, in 
certe comunità musulmane ancora oggi non si vaccinano i bambini per 
ragioni ideologiche.
Sul trapianto — un altro dei miracoli della 
medicina — c’erano grandi perplessità all’inizio fra gli uomini di 
Chiesa e quello che ha suscitato maggiore emotività è stato il trapianto
 di cuore. «Noi riteniamo opportuno richiamare l’attenzione dei 
cattolici più riflessivi di non applaudire all’esperimento del chirurgo 
sudafricano perché ardito e nuovo, prima di aver valutato anche i 
fondamentali problemi umani e morali che esso implica», scriveva 
Vittorio Marcozzi su «Civiltà Cattolica» qualche settimana dopo il primo
 trapianto di cuore.
E la Chiesa rimane fortemente critica nei 
confronti della donazione degli organi anche molto recentemente. «Quelli
 che la malattia o un incidente faranno cadere in coma “irreversibile”, 
saranno spesso messi a morte per rispondere alle domande di trapianto 
d’organo». Sono parole del cardinale Joseph Ratzinger del 1991 riprese 
da «L’Osservatore Romano». Poi le cose cambiano. Giovanni Paolo II 
definisce la donazione degli organi per il trapianto come «un autentico 
atto d’amore»; intanto però di trapianti ne erano già stati fatti più di
 un milione. Questo darà un grande impulso alla medicina del trapianto, 
da allora a oggi chi ha donato un organo ha regalato ad altrettanti 
riceventi nel mondo quasi cinque milioni di anni di vita in più.
Per
 questo e per tanto d’altro, noi medici non possiamo disinteressarci 
della fede. Non solo, ma l’87 per cento dei nostri pazienti ha qualche 
forma di credo religioso e questo ha una profonda influenza sul loro 
atteggiamento di fronte alla malattia e alla morte.
Forse è venuto
 il momento che scienziati, leader delle organizzazioni religiose e chi 
governa la sanità escano dai rispettivi ambiti e lavorino insieme per 
migliorare l’accesso alle cure di milioni di persone e poi per ridurre 
la povertà (che porta a malattie e morte).
Se gli scienziati 
guardassero con più attenzione a quello che hanno fatto le 
organizzazioni religiose per il benessere dell’uomo, scoprirebbero che 
sono proprio quelle le più attive nel dedicarsi alla salute e 
soprattutto alla salute dei poveri. Soltanto in Africa fra ospedali, 
cliniche e strutture sanitarie rette da medici che riferiscono alla 
Chiesa ce ne sono almeno 100 mila. Queste organizzazioni si prendono 
cura di prevenire e affrontare le malattie per centinaia di migliaia di 
persone che altrimenti non avrebbero alcuna possibilità di accedere a 
qualunque assistenza. Sempre in Africa novemila volontari che 
appartengono a congregazioni religiose si occupano di quasi 200 mila 
bambini orfani o comunque in difficoltà. Non ci sono dati sicuri ma quei
 pochi che abbiamo a disposizione indicano che in 14 nazioni africane la
 Chiesa copre quasi il 70 per cento del mercato della salute. Il 
problema più grande è che spesso queste organizzazioni non parlano con i
 governi e non hanno piani comuni di sviluppo. Dove si è provato a farlo
 — in Ciad, Malawi, Uganda, Tanzania, Zambia, Lesotho, Benin, Ghana, 
Kenya e Camerun — i risultati sono stati di grande interesse. E la 
Chiesa ha fatto più di chiunque altro per assistere i più poveri nelle 
aree più remote dell’Africa ma anche in Sudamerica e in certe regioni 
dell’Asia.
Al di là delle discussioni di fine vita, sulle quali 
possiamo anche non essere d’accordo, sono ancora oggi donne e uomini di 
Chiesa che forniscono cure intensive e assistenza spirituale a chi sta 
per morire. Ma c’è chi critica — «non lo fanno per curare i poveri ma 
per proselitismo» — e c’è anche chi sostiene che cristiani e musulmani 
vorrebbero curare solo gli affiliati alla loro religione. Ma l’analisi 
fatta dal «Lancet» e pubblicata proprio in questi giorni dimostra che 
non è vero. Fra l’altro l’integrazione fra organizzazioni religiose e 
intervento pubblico, dove c’è stato, ha limitato molto questi fenomeni, 
ammesso che da qualche parte ce ne fossero.
Con l’Enciclica 
Laudato si’ pubblicata da Papa Francesco l’anno scorso il clima è 
cambiato e molti cominciano a pensare che ci siano le condizioni per un 
dialogo più favorevole fra scienza (medicina specialmente) e fede. Papa 
Francesco scrive: «La Chiesa non pretende di definire le questioni 
scientifiche, né di sostituirsi alla politica, ma invito a un dibattito 
onesto e trasparente, perché le necessità particolari o le ideologie non
 ledano il bene comune» indicando che una discussione aperta su 
questioni scientifiche è ora possibile. Papa Francesco va anche oltre 
dicendo: «La scienza e la religione, che forniscono approcci diversi 
alla realtà, possono entrare in un dialogo intenso e produttivo per 
entrambe».