Corriere La Lettura 21.2.16
E l’Indice dei libri finì all’indice
Storia
Tutto iniziò nella prima metà del XVI secolo, nelle università e poi
al Concilio di Trento. Nell’elenco finirono migliaia di nomi (compresi
Dante, Kant, Leopardi, Moravia)
Il 13 aprile 1966 il cardinale
Alfredo Ottaviani annunciò la soppressione della lista dei volumi che
diffondevano una «dottrina impura»
di Marco Ventura
Il
Papa è alla porta del paradiso. Armeggia con la chiave. «Che accidenti è
questo? La porta non si apre. Devono aver cambiato la serratura. Oppure
è guasta». Il Papa s’infuria, prende l’uscio a pugni e a calci: «Mi
ribolle la bile! Ohé! Qualcuno apra questa porta all’istante!». Pietro,
dall’interno, si rifiuta: «In nome di Dio, che fetore sento? Non
converrà aprire subito la porta. Mi farò un’idea di chi sia questo
flagello da qui, guardando fuori da questa feritoia». Il guardiano del
paradiso osserva il suo successore. La chiave d’argento, pensa, è «molto
diversa da quelle che mi affidò il pastore della Chiesa, quello vero,
Cristo». Lo disgustano la corona, il manto imperiale tempestato d’oro e
gemme, le truppe al seguito. Inizia così un dialogo al vetriolo tra
Pietro e Papa Giulio II.
Testi come questo, datato 1513,
rivoluzionarono il cristianesimo: portarono un attacco radicale
all’autorità romana, ai fondamenti della teologia, del diritto canonico,
del rapporto tra potere temporale e spirituale. Più ancora, testi come
questo rivoluzionarono il modo in cui circolavano le idee. Non erano più
manoscritti, ma libri a stampa. Viaggiavano veloci, raggiungevano più
persone, costavano meno e fruttavano meglio. Con la conquista di un
nuovo pubblico si rinnovava la lingua. Il dialogo del 1513 tra Pietro e
Giulio II è ancora in latino, ma i protestanti pubblicheranno presto
bibbie in francese, in olandese, in tedesco e in inglese.
Nasce
qui l’ Indice dei libri proibiti . È la risposta romana al libro moderno
e alla nuova idea di Dio e di Chiesa che con esso si propaga. Dapprima
sono le università a pubblicare liste di letture vietate, a Parigi,
Lovanio, Salamanca. Poi tocca all’autorità ecclesiastica. L’arcivescovo
Della Casa, l’autore del Galateo , è tra i primi a stilare un elenco.
Durante il Concilio di Trento, tra 1557 e 1559, Paolo IV pubblica il
primo Indice . Il 26 febbraio 1562 i padri conciliari tridentini
verbalizzano il loro allarme: «Il numero dei libri sospetti e
pericolosi, nei quali si contiene una dottrina impura, da essi diffusa
in lungo e in largo, è troppo cresciuto». Due anni dopo, appena
terminato il Concilio, è pubblicato un nuovo elenco e nasce la
Congregazione dell’Indice, simbolo della tutela ecclesiastica su un
popolo di cui non ci si fida.
L’ Indice è il catalogo delle opere
di cui sono proibite pubblicazione, vendita, acquisto, conservazione,
traduzione, diffusione, e soprattutto di cui è vietata la lettura. Al
contempo, l’ Indice è il congegno, la burocrazia, le norme e le
procedure. Ogni volta che una minaccia è avvertita, il grande corpo si
muove: s’inanellano denuncia, istruzione, processo, sentenza,
proibizione e repressione. Alla catena di movimenti corrisponde la
catena di concetti. L’opera da censurare è perniciosa per la morale, per
la teologia, per l’ecclesiologia, per l’ordine costituito, sociale e
politico, per il diritto canonico e civile che lo preservano. Basta la
minaccia in un punto della catena per vietare, perché il pericolo è
proprio nel contagio che si diffonderebbe da un punto agli altri, in
particolare dall’eresia teologica a quella politica.
Finiscono
così all’indice i libri degli eretici, le edizioni dei padri della
Chiesa e delle scritture, la teologia in volgare, le pubblicazioni
oscene, i trattati di magia e astrologia. Percorre i secoli, l’ Indice ,
oscillando tra la propria astrattezza e l’impatto sulla realtà. Gli
esiti sono i più diversi. L’opera vietata, proprio perché tale, stimola
la curiosità. L’intransigenza e la rigidità si tramutano spesso in
contrattazione, ritrattazioni parziali, penne che cancellano alcune
frasi e non altre. Accanimenti e dimenticanze coesistono. Contano le
traiettorie individuali, le personalità di censori e autori. Conta la
storia dei popoli. Nell’Europa dei cristianesimi nazionali, la maggiore o
minore docilità collettiva al braccio del censore determina l’efficacia
dell’ Indice . Se i cattolici d’Oltralpe sono riluttanti a piegarsi,
l’Italia è in prima fila nel braccio di ferro che Roma ingaggia con la
modernità occidentale. Un occhio molto romano e molto italiano seleziona
i volumi e gli autori che entrano ed escono dall’ Indice . Solo quando
la Critica della ragione pura è tradotta in italiano, nel 1827, finisce
all’indice Immanuel Kant. E più tardi, nel giugno 1853, il processo alla
Capanna dello Zio Tom nasce dal sequestro per opera dello zelante
inquisitore di Perugia dell’ennesima partita di libri contrabbandati dal
Granducato di Toscana nello Stato pontificio. Lo Zio Tom è risparmiato
dalla censura al termine di una discussione che riassume le
contraddizioni dell’ Indice . Sull’opera antirazzista e sull’autrice
metodista si scatenano il carrierismo dei prelati, la loro ottusità, il
calcolo politico. Eppure il confronto tra i consultori è un laboratorio
culturale ricco, dove i contenuti, nel caso della Capanna dello Zio Tom
il pregiudizio razziale, sono oggetto di un serrato confronto di
argomenti, metodologie e retoriche.
Tra fine Ottocento e prima
metà del Novecento, la Chiesa sferra gli ultimi colpi di coda nella sua
battaglia contro il libro moderno. Nel 1917, tra l’apparizione della
Vergine a Fatima e la rivoluzione d’Ottobre, muore la Congregazione
dell’Indice, ormai inglobata dal Sant’Uffizio. Sfuggono all’indice Marx,
Lenin e Stalin, e anche Hitler e Mussolini, partner dei concordati. Vi
finiscono invece Giovanni Gentile e alcuni teorici del nazismo.
A
pagare il prezzo più duro sono i teologi che gettano ponti verso il
nuovo sapere, dai modernisti francesi e britannici a Ernesto Buonaiuti,
fino al biblista Jean Steinmann, la cui Vita di Gesù è l’ultimo libro a
finire all’indice, nel 1961. Dopo la chiusura del Concilio, Paolo VI
ridimensiona il Sant’Uffizio, ormai Congregazione per la dottrina della
fede. La sorte dell’ Indice resta sospesa fino all’uscita sul
settimanale «Gente», il 13 aprile 1966, di un’intervista al cardinale
Alfredo Ottaviani. Il prefetto della dottrina della fede dichiara che l’
Indice è ormai privo di valore giuridico, che non ne usciranno nuove
versioni, che esso è ormai solo un interessante «documento storico». L’
Indice muore perché è mutato l’atteggiamento della Chiesa verso la
storia. Ma non solo. In un’intervista del giugno 1966 ancora il
cardinale Ottaviani spiega come l’ Indice sia ormai fuori posto in un
mondo in cui «la parola scritta non è più l’unico strumento di
diffusione delle idee». L’ Indice muore perché è cambiata la
trasmissione del pensiero; perché non c’è più il libro come l’Occidente
lo ha conosciuto a partire dal Cinquecento.
Il Giulio , il dialogo
del 1513 tra Pietro a Giulio II sulla porta del paradiso, si conclude
senza che il Papa sia riuscito a entrare. Pietro gli consiglia di
costruirsi un altro paradiso. Il Pontefice si ritira minaccioso: «Quando
avrò incrementato il mio esercito, vi caccerò via da costà a forza».
Nella più recente edizione critica del Giulio , nel 2013, Silvana Seidel
Menchi ha dimostrato che il misterioso autore del dialogo è Erasmo da
Rotterdam. È di tre anni successivo al Giulio , cioè del 1516, il Nuovo
Testamento edito da Erasmo, l’opera che rivoluziona la comprensione
della parola di Dio, opera da indice per eccellenza. Cadono nel 2016
entrambi gli anniversari. Cinque secoli dal Nuovo Testamento di Erasmo.
Cinquant’anni dalla fine dell’ Indice . È fatta di proibizione e di
genio, di uomo e di Dio, la memoria del libro.