domenica 21 febbraio 2016

Corriere La Lettura 21.2.16
Distopie
Cent’anni dopo, Orwell parla arabo
L’algerino Boualem Sansal ipotizza un futuro prossimo (2084, evidente citazione
del Grande Fratello di «1984») dominato da un unico protettorato islamico che ha conquistato cuori e menti. Anche l’Occidente, debole e impaurito, sarà vittima del totalitarismo
di Paolo Salom

Un secolo più tardi, esattamente cento anni dopo 1984 , il mondo ha trovato la pace sotto un unico protettore, Abi, Delegato dell’Onnipotente Yölah. Gli Stati nazionali sono scomparsi alla fine dell’ultima Guerra santa conclusa con il trionfo della Giusta fraternità e dei Veri credenti. La pace regna sovrana da un capo all’altro dell’impero percorso, nelle sue immensità desolate, da infinite carovane di pellegrini, malati e soldati, diretti chi ai sanatori (le malattie, soprattutto la tubercolosi, continuano a piagare l’umanità), chi ai molteplici luoghi di culto dedicati a Yölah e al suo Delegato, chi a (misteriose) guerre che non dovrebbero esserci eppure continuano a tormentare un mondo finalmente perfetto. Ecco, in sintesi, la trama di 2084. La fine del mondo , ultimo romanzo dello scrittore algerino Boualem Sansal — autore, tra l’altro, de Il villaggio del tedesco (Einaudi) — ex funzionario dello Stato che ha preferito dedicarsi all’invenzione letteraria piuttosto che continuare a riempire faldoni destinati unicamente alla polvere.
A partire dal titolo, i riferimenti al capolavoro di Orwell non sono certo casuali (e il libro si apre con un omaggio al creatore del «Grande Fratello»). Ma il mondo non è diviso in tre Potenze: i Veri credenti lo hanno unificato e i sopravvissuti al cataclisma universale hanno trovato la pace nella fede piuttosto che nell’amore. Ovviamente esiste l’occhio onnipresente del Delegato che fa capolino da cartelloni elettronici, e una psicopolizia (i «V») capace di scandagliare i pensieri dei cittadini e individuare i pensieri eterodossi, garanzia per una sicura esecuzione pubblica. Il protagonista — alter ego dell’orwelliano Winston Smith — è Ati, che Sansal ha creato «dal gergo delle banlieue: è una contrazione di athée , ateo», e dentro il suo cuore, dopo anni trascorsi a denunciare i vicini come sospetti, si trova a dubitare della «verità» e a cercare la parola inesistente e quasi impronunciabile: libertà.
Il romanzo, in uscita il 25 febbraio in Italia, è stato proclamato dalla rivista francese «Lire» il «più bel libro del 2015». Michel Houellebecq lo ha accolto con parole lusinghiere: « 2084 va ben oltre Sottomissione . Descrive un vero totalitarismo religioso. Boualem Sansal vede la vittoria degli estremisti. Magari ha ragione, la sua visione del futuro è più che plausibile».
È così? Vinceranno davvero gli estremisti dell’islam? La sovrapposizione tra Yölah e Allah, tra Delegato e Profeta, è quasi automatica...
«Credo — dice Boualem Sansal al telefono dalla sua casa di Algeri, mentre la sua voce arriva distante e metallica, come se fosse davvero fra i monti dell’Ouâ, dove prende inizio il suo racconto fantastico — che l’umanità intera abbia di fronte a sé un destino inevitabile. Nel giro di trenta-quarant’anni l’unica forma di governo possibile sarà il totalitarismo. In fin dei conti, solo una minima parte del mondo vive secondo i principi di democrazia e libertà: l’Occidente. La sovrappopolazione, la distruzione dell’ambiente e la scarsità di risorse spingeranno tutti verso un regime assolutista. Si tratta soltanto di capire se sarà poliziesco-militare o di altro tipo. A mio avviso, solo la religione sarà in grado di governare le menti senza il bisogno di una vera coercizione. Accade già: la fede conferisce ai credenti serenità, il Paradiso, tutti i benefici immaginabili in questo o nell’altro mondo. L’adorazione delle figure della devozione si trasforma in felicità. Nessuna ideologia politica è stata mai capace di sostituire la complessità della religione».
Questo può essere vero nel mondo arabo-islamico. O in certe parti dell’Asia. Ma come potrà l’Occidente democratico cadere nuovamente nel totalitarismo?
«Qui siamo di fronte a due fenomeni: uno interno all’Occidente; l’altro esterno ma sempre più parte dell’Occidente, almeno dell’Europa».
Cominciamo dal primo: cosa intende?
«L’Occidente, con la sua democrazia, la sua libertà, appare fragile: è il luogo delle contraddizioni e dell’assenza di visioni. Il comunismo ha fallito, il capitalismo anche. Dunque, quale futuro? I sistemi democratici sono vittime dei propri meccanismi. Di fronte a una crisi sempre più profonda della società europea, vedremo il risorgere della religione e del suo ruolo politico. Tutto si confonderà nella fede».
Quale fede? Insomma, qual è il secondo fenomeno: è qui che entra in scena «2084», la sua visione orwelliana?
«Alla fine sarà l’islam a conquistare cuori e menti. Di tutti. Perché è nella sua natura. Ora siamo all’inizio. Ma vediamo già all’opera i jihadisti e i predicatori. La democrazia europea vive una fase di debolezza e di terrore. Tutto fa paura: la crisi economica, le malattie, la povertà, la violenza, le migrazioni. L’islam è capace di fornire risposte universali. Offre la soluzione, quanto meno l’illusione di una soluzione. Ma tanto basta: nel giro di pochi decenni la questione sarà questa».
Ne è sicuro? Lei si definisce un uomo laico, un uomo libero dalla fede. Come può immaginare un futuro che a noi appare come un nuovo Medioevo?
«Trent’anni fa, in Europa, non si parlava quasi di islam. I problemi erano ben altri. Oggi non si discute d’altro: in tv, sui giornali, sul web. Tutto sta già accadendo. L’Occidente è percorso dalla paura: prima o poi il canto che la fa dimenticare conquisterà tutti. E non dimentichiamo la violenza: Houellebecq ipotizza un islam che entra nel gioco politico democratico. Io dico che questo non è pensabile: l’islam parte dalla democrazia soltanto per distruggerla. Inoltre, cosa già attuale: l’islam non si può criticare. Non in Medio Oriente, come è naturale visto il ruolo della religione nella società, ma in Europa».
Difficile capire se fin qui abbiamo parlato di realtà o della fantasia che ha ispirato il suo romanzo, per quanto distopico. Perché ce n’è abbastanza da togliere il sonno...
Boualem Sansal ride. «Io ho immaginato un futuro. Naturalmente è una finzione letteraria che si ispira a ciò che appare ora plausibile. Orwell aveva fatto lo stesso: non tutto si è inverato...».
«2084» sarà tradotto in arabo? Lei lo ha scritto in francese...
«Non saprei. Forse in Libano. In ogni caso, pochi lo leggeranno dalle mie parti».