Corriere 7.2.16
Egitto
Questi alleati inevitabili (ma terribili) dell’Occidente
di Pierluigi Battista
Che
al Cairo spadroneggiassero gli squadroni della morte, gli egiziani non
hanno purtroppo dovuto aspettare il martirio di Giulio Regeni per
saperlo. I ciechi eravamo noi, con la nostra accondiscendenza per un
regime oppressivo e dispotico, ma che tutti sentiamo come un argine al
fanatismo jihadista dei Fratelli Musulmani. È la contraddizione
dell’Occidente: non rompere i rapporti con le tirannie per scongiurare
il pericolo maggiore incarnato dall’Isis. Perciò facciamo finta di non
vedere le torture nelle segrete del Cairo. Ignoriamo gli impiccati che
nelle grandi piazze di Teheran pendono dalle gru, solo perché erano
dissidenti, o omosessuali. Non vogliamo capire che gli ultimi disperati
in fuga da Aleppo in Siria scappano dagli orrori provocati da Assad,
stavolta. Mettiamo il velo sulle nostre ipocrisie e sulle nostre
convenienze. E ci risvegliamo solo quando a essere colpiti siamo
direttamente noi.
Questa cecità è il frutto dei troppi compromessi
che, in nome del realismo e degli imperativi della geopolitica, sono
stati in questo drammatico frangente storico, il terreno di cedimento
sui valori della democrazia, della libertà, del rispetto dei diritti
umani fondamentali. Abbiamo liquidato come fisime da «anime belle»,
debolezze idealistiche che non tengono minimamente conto delle rudi
leggi dell’economia e della politica internazionale, le preoccupazioni
sulla terrificante ferocia di chi è nostro «alleato» nella battaglia
contro i decapitatori schiavisti del Califfato. Ogni tanto ci
risvegliamo. Certo, quaranta esecuzioni esibite in Arabia Saudita sono
veramente un orrore indigeribile, specialmente all’inizio dell’anno, ma
per non più di 24 ore di indignazione. Certo, 17 miliardi sono una cifra
sufficiente per occultare la repressione che regna in Iran, ma che
vergogna, almeno per un giorno. Certo, fa impressione la spaventosa
quantità di morti ammazzati, oltre 250 mila in pochi anni, da parte
delle truppe di Assad, spalleggiato da un altro campione democratico
come Putin. Ma vuoi mettere il realismo della necessità? Vuoi mettere
quanto sia più importante della democrazia e dei diritti umani violati
la guerra globale contro il Califfo? Vuoi mettere il «male principale»
contri questi mali «secondari» di cui in fondo fanno le spese solo loro,
non noi?
Qualche volta, però, l’orrore arriva a colpire anche
noi. Un nostro ragazzo, un ricercatore curioso e intelligente come
Giulio Regeni viene trucidato in circostanze ancora non del tutto
chiarite e siamo colpiti da uno choc, costretti a vedere ciò che
volevamo nascondere. Travolti dall’orrore. Feriti dalla truculenza che
speravamo non macchiasse la nostra algida indifferenza verso le tante
vittime di una repressione che miete vittime ogni giorno. Era
imbarazzante ammettere che il regime non fondamentalista che oggi è al
potere al Cairo sia il frutto di un colpo di Stato: forse
provvidenziale, ma pur sempre un colpo di Stato. Che gli squadroni della
morte sono in piena funzione in Egitto. Che la tortura è pratica
diffusa come ai tempi di Mubarak, forse anche di più. Che migliaia e
migliaia di Fratelli Musulmani, i nostri nemici più sanguinari, come
negarlo?, sono stati condannati a morte con processi farsa, senza che un
fiato si sollevasse da chi nel mondo occidentale si oppone con
ammirevole coraggio contro la pena capitale. Cercavamo di non dire che
il dissenso non è tollerato al Cairo. Che la democrazia non è stata
esportata in Egitto. E allora, non si può far altro che sostenere questo
regime? Basta saperlo. L’importante però, per una questione di pudore, è
non indignarsi solo nei giorni comandati, solo quando a essere vittima è
un italiano di cui andiamo giustamente orgogliosi. Altrimenti sembra
che quando la mannaia si abbatte sugli «arabi», allora è meglio tacere.
Che fine ingloriosa, per la retorica dei valori universali e dei diritti
fondamentali.
Quei regimi sono oppressivi e liberticidi, sempre,
anche quando voltiamo la testa dall’altra parte. Ascoltate quello che
dicono gli scrittori iraniani, sul giro di vite repressivo che
accompagna anche le «aperture» della nuova dirigenza moderata. Ascoltate
le donne di Teheran: l’oppressione di genere è e resta feroce, anche
quando l’Europa non sembra volersene accorgere e si appresta a fare
cospicui affari sull’onda dell’accordo che mette fine alle sanzioni
contro l’Iran. Non è cambiato molto: siamo noi che abbiamo cambiato
punto di vista e abbiamo deciso che per tenere e bada il mostro del
Califfato bisogna rinnegare tutto ciò che è stato detto negli anni
precedenti.
E le immagini di questi giorni dell’esodo da Aleppo?
Quelle colonne di profughi si allontanano dall’orrore dei bombardamenti,
non dell’Isis bensì dei grandi protettori del regime di Assad. Quando
arriveranno qui, dopo peripezie, annegamenti, un’odissea terribile che
ci commuoverà per qualche ora come è accaduto con l’immagine del piccolo
Aylan, la cui famiglia disperata era in fuga contemporaneamente
dall’Isis e dalla dittatura di Damasco, non avremo chiaro esattamente la
rotta di chi scappa. Non vorremo capire bene che stavolta sono i nostri
alleati. Siamo sopraffatti dalla potenza delle immagini del dolore e
della sofferenza ma non possiamo dedurne che a causare questo dolore e
questa sofferenza sono i nostri alleati, gli alleati degli alleati, gli
amici degli amici.
Ecco la grande ipocrisia in cui si dibatte
l’Occidente, l’Europa politicamente inesistente e verbosa, gli Stati
Uniti ondivaghi e impotenti. Ecco il dilemma atroce di cui siamo
prigionieri: reagire con forza ai soprusi di regimi in cui si può morire
nei modi in cui è stato ucciso Giulio, tenere alta la bandiera dei
diritti umani fondamentali, oppure tacere, minimizzare, accettare la
convivenza coatta con regimi oppressivi nel nome della battaglia comune
al Male assoluto rappresentato dal Califfato. Ma allora l’indignazione è
meglio ripiegarla. Per dignità. Per non far finta di credere
all’intangibilità di valori che ignoriamo tutte le volte che ci
conviene. Cioè quasi sempre.