Corriere 6.2.16
Identità e potere
È in discussione il modello di partito del premier
Dietro lo scontro tra il leader e i suoi si intravedono questioni di identità e di potere
E sullo sfondo rimane l’ombra eterna del trasformismo
di Massimo Franco
È
evidente che il conflitto riapertosi nel Pd non riguarda tanto il
tesseramento in sé, quanto il modello di partito accarezzato da Matteo
Renzi. C’è stato il caso di Totò Cuffaro, l’ex governatore di
centrodestra della Sicilia, uscito di recente dal carcere. E il solo
fatto che abbia annunciato lo spostamento dei suoi referenti
tradizionali verso il Pd renziano ha provocato una sollevazione. Ma se
non ci fosse stato quell’episodio, sarebbe spuntato un altro pretesto.
La miscela è tossica perché somma questioni di potere e di identità
della sinistra.
I rapporti di forza che emergeranno dalle prossime
primarie segneranno le elezioni amministrative di giugno; e diranno
quanto il segretario-premier è riuscito a scalfire il primato di una
nomenklatura che non controlla. Renzi sa che se a scegliere i candidati
saranno solo gli iscritti, la sua leadership potrebbe uscirne sotto
tutela. Allargare invece le iscrizioni anche a persone esterne al Pd,
lascia indovinare un innesto di simpatizzanti renziani da ambienti non
di sinistra; e un potenziale aumento dei consensi.
Insomma, il
timore del Pd «identitario» è che il capo del governo usi le primarie
come laboratorio del «partito della Nazione», inteso come moderato; e
comunque per indebolire gli oppositori interni. La virulenza delle
polemiche ha questa origine. E sconta l’asse tra Palazzo Chigi e Denis
Verdini, transfuga di FI. Gli attacchi al premier arrivati dall’ex
segretario Pier Luigi Bersani e dall’ex capogruppo alla Camera, Roberto
Speranza, adombrano di nuovo il fantasma di una scissione. Non del
vertice della dirigenza: degli elettori.
«Se non si dà un segnale
fermissimo sul caso Cuffaro, il Pd è morto», sostiene Speranza. «Così
perdiamo i nostri». Il Pd «non è un porto dove può sbarcare chiunque»,
incalza Bersani. La scelta di Palazzo Chigi, tuttavia, non sembra
destinata a cambiare. Il vice di Renzi, Lorenzo Guerini, assicura che si
interverrà duramente contro eventuali «fenomeni anomali» in Sicilia. Ma
ironizza sulle polemiche che «ogni quattro o cinque mesi» si aprono
«sui nostri tesserati. Una volta sono pochi, un’altra troppi».
D’altronde, l’assoluzione «perché il fatto non sussiste» del governatore
della Campania, Vincenzo De Luca, del Pd, dovrebbe suggerire a tutti
prudenza nei giudizi.
Ipotesi improbabile. Lo scontro non si
attenuerà perché mette di fronte due visioni agli antipodi. Gli
avversari di Renzi guardano a sinistra. E vorrebbero che il Pd cercasse
alleati e consensi lì. Il premier ritiene invece che l’unica possibilità
di espansione sia nel serbatoio di centrodestra, lasciato incustodito
dal cedimento di FI alla leadership leghista. In fondo, la stessa vena
euroscettica emersa nelle ultime settimane è, più che una guerra contro
Bruxelles, un amo lanciato agli elettori frustrati. I voti non hanno
odore, soprattutto nella patria del trasformismo: da tempo, però.