Corriere 4.2.16
Unioni civili
Gli esempi della storia dimenticati dai cattolici
I
sostenitori del Family Day vogliono fare pressione sui parlamentari
minacciando di non votarli più se appoggeranno la legge Cirinnà: il
passato però insegna che questa strategia è molto rischiosa
di Pierluigi Battista
Si
racconta che i deputati e i senatori cattolici siano sottoposti in
questi giorni a ogni genere di pressione, peraltro democraticamente
ineccepibile, da parte di contrari alla legge sulle unioni civili.
Minacciano, gli infervorati sostenitori del Family Day, che dal
comportamento sulla legge Cirinnà dipenderà la conferma o meno del loro
voto. Ripetono il senso dello striscione apparso sabato scorso al Circo
Massimo: «Renzi, ce ne ricorderemo». Promettono di punire nelle urne
quello che considerano un tradimento. Assicurano di avere la memoria
lunga e di non lasciare impunita la scelta dei parlamentari cattolici di
approvare o comunque di non ostacolare l’approvazione di una legge che
loro bollano come un abominio. Però chi minaccia deve saper fare di
conto, capire se l’avvertimento democratico ha davvero una sua forza
dissuasiva, e studiare un po’ la storia dei referendum di questi decenni
in Italia, dove lo schieramento ufficialmente cattolico ha spesso
subito delle sconfitte squillanti, in qualche caso addirittura una
disfatta.
In assenza di sondaggi attendibili molti immaginavano
nel 1974, a partire dai comunisti timorosi di alienarsi i consensi delle
«masse cattoliche», che il referendum sul divorzio avrebbe avuto come
vincitrice la Democrazia Cristiana che lo aveva promosso, con l’appoggio
esplicito delle gerarchie ecclesiastiche, e del papa Paolo VI in
persona. Eppure, malgrado le paure «laiche» che si aspettavano dalle
urne una reviviscenza del «popolo cattolico» e che celiavano su una
presunta «arretratezza» dell’opinione pubblica italiana, i favorevoli al
divorzio uscirono trionfanti dalla competizione con un sonoro 59 per
cento circa, sbaragliando lo schieramento avversario capitanato dalla Dc
e dal Msi.
Per Fanfani fu una sconfitta dolorosa, che portò al
ridimensionamento della sua figura politica e al collasso elettorale
della Dc nelle elezioni del ’75, poi neutralizzato nell’anno successivo
dal timore del «sorpasso comunista» che svuotò gli alleati laici dello
Scudo Crociato.
Qualche anno dopo, su un tema ancor più, come si
direbbe oggi, «eticamente sensibile» come l’aborto, i numeri furono
ancora più clamorosi. I contrari alla legge 194 non raccolsero che il 32
per cento dei voti, lasciando al 68 dei favorevoli alla
depenalizzazione dell’aborto il frutto di una vittoria storica. Il
risultato fu ancora più spettacolare, se si considera che il referendum
abrogativo aveva il consenso del Vaticano e dello stesso Giovanni Paolo
II, figura carismatica e popolare quant’altre mai, e che molte donne,
proprio l’elettorato che veniva considerato più vulnerabile al richiamo
della predicazione cattolica, diedero il loro voto a difesa di una legge
che depenalizzava una pratica vissuta in solitudine e nell’angoscia
dell’illegalità. Questi due precedenti dovrebbero consigliare i
dirigenti del movimento che si oppone alla legge sulle unioni civili
delle coppie dello stesso sesso a un atteggiamento più prudente. E anche
nel caso di un referendum «vinto», come quello neutralizzato nel 2005
per non aver raggiunto il quorum sulla legge restrittiva che regolava la
fecondazione assistita, si può dire che il movimento cattolico, con un
punto di riferimento fermo e autorevole come il cardinal Camillo Ruini,
si è affermato non già per la maggioranza dei voti espressi ma per la
maggioranza degli astenuti. Nelle elezioni politiche, però, non esiste
il quorum. E contano i voti espressi, non le astensioni.
Una
prova di forza elettorale non è affatto scontata nell’esito, a
dimostrazione che il voto cattolico ha smesso da lungo tempo di essere
maggioritario, e tanto più quanto è andato avanti e si è imposto un
processo di tumultuosa secolarizzazione. L’illusione che una piazza
piena, al di là del balletto delle cifre, possa tradursi in una grande
affermazione nelle urne, ha già provocato effetti disastrosi nella
sinistra, convinta che il calore delle manifestazioni potesse essere
l’antefatto di una schiacciante maggioranza elettorale. I cattolici
possono commettere lo stesso errore, e scambiare per la generalità del
«popolo» quella che resta pur sempre una fetta, sia pur consistente
dell’elettorato. Dovranno ricordarsene tutti, non solo Matteo Renzi,
come è stato detto nel Family Day.