giovedì 4 febbraio 2016

Corriere 4.2.16
L’inutile sospensione della Grecia da Schengen
di Riccardo Franco Levi

Nella storia delle nazioni, non meno che in quella delle persone, ci sono momenti e occasioni in cui schierarsi e battersi in difesa dei diritti del più debole, dell’offeso, del perseguitato diventa un dovere. E questo non solo per rispondere ad un imperativo etico antico quasi come il mondo, ma perché è così e solo così che si mantengono vivi valori, princìpi, istituzioni dai quali dipendono e che garantiscono i nostri stessi diritti, il nostro benessere. È questo il caso della possibile sospensione, di fatto una quasi espulsione, della Grecia da Schengen, il sistema europeo che permette la libera circolazione dei cittadini attraverso le frontiere e nei territori di ventisei Stati, insieme e ancor più dell’euro, la maggior conquista e il simbolo più potente della unificazione del continente europeo. Trovata colpevole di «severe mancanze» nel controllo delle proprie frontiere — che là dove si affacciano su Mare Egeo sono al medesimo tempo le frontiere esterne dell’Unione europea —, ad Atene sono stati dati tre mesi di tempo per mettersi in ordine. Se questo non avverrà, la libera circolazione dalla Grecia potrà essere sospesa per un periodo di due anni e i viaggiatori provenienti dalla Grecia dovranno sottostare a controlli analoghi a quelli che esistevano nell’Europa di prima di Schengen.
Non c’è molto da discutere sul fatto che i controlli, l’identificazione, la sistemazione dei migranti in arrivo attraverso il Mediterraneo sulle coste greche non siano né un esempio di una buona ed efficiente accoglienza né corrispondano agli impegni assunti da Atene con l’Unione europea. Ma con 45 mila migranti entrati nel suo territorio soltanto in questo mese di febbraio e 850 mila nei dodici mesi dell’anno scorso, poco meno di quelli entrati in una Germania che ha cinque volte i suoi abitanti, la Grecia ha ben più di una scusante per le sue difficoltà.
Quel che, tuttavia, più stride in questa vicenda è che la possibile se non probabile sospensione della Grecia da Schengen sarebbe un atto sostanzialmente inutile, quasi paradossale. Confinando a Nord con Albania e Macedonia che non sono membri dell’Unione europea e con la Bulgaria, che è dentro la Ue ma fuori da Schengen, la Grecia si trova ad essere l’unico paese Schengen che confini esclusivamente con Paesi esterni al sistema. Questo significa che l’unico possibile collegamento diretto tra la Grecia e un altro Paese Schengen è quello via aerea e che la sospensione di Atene dal sistema è irrilevante ai fini del controllo e del contrasto alla grande migrazione via terra, l’esodo biblico attraverso i Balcani che vediamo ogni giorno nei telegiornali e che tanto spaventa Slovenia, Austria, Germania e, più a Nord ancora, Danimarca e Svezia.
La vera ragione dell’azione contro la Grecia sta, dunque, nella volontà di dare alle opinioni pubbliche europee la dimostrazione di un impegno al controllo delle frontiere esterne dell’Unione. Una dimostrazione data in questo caso largamente a buon mercato, salvo per i greci che, invece, la pagherebbero ben cara. Basti pensare a cosa vorrà dire, in termini di perdita di libertà, di opportunità di lavoro o di studio, di umiliante discriminazione, il non poter più viaggiare come tutti gli altri europei. O, ancora, quale potrà essere il contraccolpo sugli investimenti esteri in Grecia e sulla possibilità del Paese di risollevarsi dalla devastante crisi degli ultimi anni.
Ecco, per il nostro governo, per l’Italia al pari della Grecia esposta in prima linea di fronte al fenomeno della grande migrazione mediterranea, questa è una battaglia da combattere. Per difendere, insieme a quelle della Grecia, le nostre ragioni.
Perché è facendo valere i nostri diritti nel nome dei valori e delle politiche di un’Europa solidale e soprattutto unita nell’affrontare i problemi che per loro natura impongono risposte su scala continentale che possiamo acquisire autorevolezza e prestigio e difendere al meglio il nostro interesse nazionale. Non impegnandoci in una scaramuccia da retroguardia e un poco odiosa per bloccare gli aiuti già promessi alla Turchia per il controllo dei migranti in cambio di una maggiore flessibilità sui nostri conti pubblici.