mercoledì 3 febbraio 2016

Corriere 3.2.16
Troppi scontri con Bruxelles. E ora l’insofferenza rischia di far breccia nel Pse
di Francesco Verderami

Bisogna dar retta al primo Moscovici, quello che toglie ogni speranza al premier ricordandogli come «l’Italia già usufruisce più di ogni altro paese dell’Unione» dei margini di flessibilità sui conti pubblici, e dunque «non può aprire senza sosta nuove discussioni»? O bisogna dar retta al secondo Moscovici, quello che spiega come «la Commissione è pronta a lavorare in spirito costruttivo a un compromesso, assieme al premier italiano»? Perché in mezzo a queste due dichiarazioni, il commissario agli Affari economici ha dovuto affrontare il gruppo dei socialisti europei, a cui fa riferimento. E lì è stato messo in mora dai «compagni» di ogni nazionalità, decisi non certo a difendere Renzi ma a rimarcare che a Bruxelles «c’è un governo di coalizione» e «siamo stufi di prendere ordini dal Ppe».
Il Moscovici bifronte è la plastica rappresentazione di un equilibrismo senza rete, di come in Europa prevalgano sempre gli interessi nazionali sui vincoli di partito. È la solita storia, perciò non c’è da stupirsi se il francese Moscovici dà corso all’asse con i tedeschi prima di far retromarcia all’incontro tra «camarades», dove si premura di assicurare che no, «la Commissione concederà margini di flessibilità a quei paesi che devono fronteggiare l’emergenza migratoria». In fondo ripete le stesse parole del tedesco Weber, potente capogruppo del Ppe a Strasburgo, che in pubblico usa proprio Moscovici per randellare Renzi («non ci sono margini per una maggiore flessibilità»), e in privato sussurra ai referenti italiani che «la Commissione è disposta a venire incontro al vostro governo. Renzi lo sa, quindi la smetta con le sceneggiate».
Su questo punto convergono socialisti e popolari di ogni latitudine europea: «Renzi ha rotto». Anzi, la scorsa settimana, alla vigilia del vertice di Berlino tra la Cancelliera tedesca e il presidente del Consiglio italiano, il presidente (francese) del Ppe è andato oltre, parlando dell’inquilino di Palazzo Chigi. Durante l’Assemblea del Partito popolare, con tutta la brutalità che una riunione riservata concede, Daul ha definito Renzi «personaggio non affidabile»: «Non possiamo permettere a lui e a Tsipras di distruggere l’Europa. Eppoi non lo difende più nessuno, nemmeno nel Pse». Qualcosa di vero deve esserci, se alla terza «precisazione» — richiesta espressamente dai socialisti a fine riunione in tarda sera — Moscovici riapre sul capitolo della flessibilità, ma ripete di nuovo a Renzi che «lo scontro è inutile».
Più che inutile è «dannoso» secondo Weber, «per lui, per noi, per tutti»: «E invece di abbassare i toni, lui continua con le polemiche. Come la storia dei fondi per la Turchia... Ma se lo sapeva da un mese». Nei conciliaboli multilingue tra i corridoi dell’Europarlamento — che d’un tratto sembrano il Transatlantico di Montecitorio — il capogruppo del Ppe spiega ad alcuni colleghi italiani come «nessuno né a Bruxelles né a Berlino ha intenzione né interesse di destabilizzare l’Italia». È un modo per rispondere a Renzi che a ogni incontro continua a dire: «Dopo di me ci sono solo i populisti». «Anche per noi non c’è oggi alternativa a questo governo», commenta Weber. Ecco perché il segretario dell’Udc Cesa — stretto dal vincolo di partito a Strasburgo e dal vincolo di coalizione a Roma — invita a «mettere un freno alle polemiche che non risolvono i problemi».
Il punto è questo. E avrà pur ragione il premier a incalzare la Commissione, «perché se Juncker ne rivendica il profilo politico, poi deve comportarsi di conseguenza, non appigliarsi ai tecnicismi dei decimali». Ma la guerra di posizione sta erodendo i margini d’azione a Bruxelles: come potrebbe «accontentare» Renzi dopo un simile braccio di ferro, senza creare un pericoloso precedente? Anche altri stati potrebbero adottare la stessa tattica: sarebbe come aprire il vaso di Pandora. Il suggerimento di Moscovici al «compagno Matteo» è di tornare ai «negoziati a margine». Proprio i riti che Renzi ha fatto saltare: non si fida.