Corriere 3.2.16
Immutabilità del Corano. Una leggenda storica
risponde Sergio Romano
Forse
 fino ad oggi il quesito sull’integrazione è stato posto in maniera 
sbagliata. Poiché come tutti sanno, il Corano è l’Islam e l’Islam è il 
Corano. La domanda dovrebbe essere questa: il Corano si può integrare 
nella cultura occidentale? Se l’islamico non può discostarsi dal Corano,
 come può assimilarsi nelle culture occidentali? Il soggetto 
dell’indagine non è l’Islam o l’islamico ma direttamente il Corano. 
Perché, ove non fosse possibile far accettare al Corano la cultura di 
questo territorio occidentale, allora la presenza di masse coraniche in 
Italia e in tutto l’Occidente, non è immigrazione ma invasione come è 
sempre avvenuto.
Orlando Bergonzi
Caro Bergonzi,
Se
 lei avesse visitato il Cairo o Bagdad negli anni immediatamente 
successivi alla fine della Seconda guerra mondiale, avrebbe constatato 
che la maggioranza delle donne, soprattutto nei quartieri centrali della
 città, non era velata. I muezzin invitavano i fedeli alla preghiera, il
 Ramadan veniva scrupolosamente osservato dalla quasi totalità della 
cittadinanza musulmana e il pellegrinaggio alla Mecca era sempre 
l’appuntamento spirituale che avrebbe completato l’esistenza del 
credente. I governi, tuttavia, sapevano che la soluzione dei loro 
problemi politici e sociali non era nel Corano. Era nella imitazione di 
ciò che era stato fatto in Europa nei decenni precedenti: istituzioni 
laiche, consultazioni popolari, lotta all’analfabetismo, 
industrializzazione.
Il processo di secolarizzazione dei Paesi 
musulmani era già visibile in Egitto durante il protettorato britannico,
 ma era stato fortemente accelerato dalle riforme di Kemal Atatürk, il 
presidente turco che aveva abolito il velo e il fez. I partiti politici,
 sempre più numerosi, erano ispirati da quelli europei. Il partito 
Baath, una combinazione di nazionalismo e socialismo che avrebbe avuto 
grande fortuna in Siria e in Iraq, era stato fondato da un cristiano 
siriano che aveva completato la sua formazione culturale a Parigi.
In
 tutta la regione, naturalmente, gli islamici di stretta osservanza 
cercavano di ostacolare la modernizzazione dei loro Paesi e predicavano 
l’osservanza letterale di tutti i precetti coranici; ma i regimi laici 
reagirono duramente anche con misure di polizia. Il leader egiziano 
Gamal Abdel Nasser fece il suo hajj (pellegrinaggio alla Mecca), ma non 
esitò a trattare la Fratellanza musulmana come un pericoloso avversario.
 Ancora più repressivo fu il presidente siriano Hafez Al Assad che nel 
1982 non esitò a distruggere la roccaforte islamista di Hama.
Come
 vede, caro Bergonzi, il problema non è l’«immutabilità» del Corano, un 
testo pieno di contraddizioni e soggetto come tutti i libri sacri a 
letture diverse. Il problema è comprendere perché un islamismo bigotto 
sia riuscito a interrompere il processo di secolarizzazione delle 
società medio-orientali. Scopriremo allora che le guerre dell’Occidente 
hanno considerevolmente peggiorato la situazione e che i migranti non 
sono le pattuglie avanzate di un esercito invasore. Sono le vittime di 
una modernizzazione tragicamente abortita. 
 
