Corriere 2.2.16
I tanti fronti aperti con Bruxelles Ma la partita è politica, non tecnica
Gli interventi della Commissione, i dubbi sulle richieste di Roma e la posizione di Calenda
di Francesca Basso
Se
 la crisi greca era sembrata uno dei momenti più tragici della storia 
dell’Unione europea, con il rischio di un’uscita di Atene dall’euro, ora
 a Bruxelles c’è chi pensa che le nuove sfide politiche potrebbero 
essere non meno difficili da gestire e con esiti altrettanto complessi. 
La Commissione europea si trova a dover trattare con Londra per la 
permanenza della Gran Bretagna nella Ue. Ma sullo stesso tavolo c’è 
anche l’emergenza immigrazione, che sta mettendo in discussione uno dei 
principi fondamentali della Ue: la libera circolazione di persone e cose
 per la decisione di alcuni Paesi di sospendere temporaneamente Schengen
 ai loro confini. E poi c’è il caso Italia, che quasi quotidianamente 
polemizza con Bruxelles, alzando i toni dello scontro anche quando 
dichiara di non volerlo fare.
E l’Italia non è un Paese qualsiasi 
dei Ventotto, è uno degli Stati fondatori e una della maggiori economie 
della Ue. Ultimo episodio ieri, con Renzi che va all’attacco: «Non 
cadiamo nelle provocazioni», dice, «per noi Europa significa valori e 
ideali, non polemiche da professionisti dello zero virgola». Solo due 
giorni prima il governatore di Bankitalia Ignazio Visco aveva chiesto la
 revisione della direttiva sulla risoluzione bancaria (Brrd), che ha 
introdotto la regola del bail-in (il salvataggio a carico di azionisti e
 depositanti sopra i 100 mila euro) entrato in vigore da appena un mese.
Difficile
 capire per Bruxelles l’atteggiamento di Roma e in più di una situazione
 il termine ricorrente è «stupore». Con Londra è più semplice: ha posto 
temi concreti e su quelli sta discutendo, come sullo stop alle coperture
 sociali per quattro anni ai lavoratori Ue residenti nel Regno Unito e i
 rapporti tra Stati euro e non euro. Ma con l’Italia è diverso. I fronti
 aperti sono numerosi e l’approccio scelto dal premier Matteo Renzi è 
quello di trasformare tutto in scontro politico. Anche quando il 
confronto, per non dire lo scontro, è su regole europee che l’Italia ha 
approvato e sottoscritto. Dossier che potrebbero essere risolti sul 
piano tecnico come fanno gli altri 27 Paesi della Ue. Il presidente 
della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker ha scritto al «caro Matteo» 
per confermare che i 3 miliardi per aiutare la Turchia a gestire 
l’emergenza dei rifugiati siriani non saranno contati nel deficit. E il 
portavoce della Commissione, il greco Margaritis Schinas, ha precisato 
che questa posizione «è nota dallo scorso dicembre», come spiegato in 
una «nota a piè di pagina» del testo degli accordi fatti circolare dopo 
l’intesa raggiunta a dicembre. Sempre ieri un’altra portavoce, Vanessa 
Mock, ha precisato che «non ci sono piani» per cambiare le regole sul 
salvataggio, voluto dagli Stati membri per salvaguardare i contribuenti e
 che è già prevista una verifica nel 2018. Un’altra portavoce, Annika 
Breidthardt, ha chiarito che sulla flessibilità legata agli sforzi 
sostenuti per i migranti la Commissione valuterà «caso per caso» e sarà 
comunicato in primavera «sulla base di spese aggiuntive fatte» rispetto 
all’anno precedente. Se anche a Bruxelles è chiaro che la strategia del 
premier è in parte legata a necessità politiche interne, tuttavia 
comincia a sorgere il dubbio che sia una tattica per coprire una 
situazione di difficoltà. Il ruolo di Calenda, al di là delle proteste 
del corpo diplomatico, sarà dunque decisivo nei prossimi mesi. 
 
