Corriere 27.2.16
Lingua fatta di tante lingue: è l’italiano in cerca di autori
di Alessia Rastelli
La
parola opzione sta mettendo all’angolo scelta . Evento fagocita
manifestazione . Scenario riduce l’uso di scena , panorama , quadro ,
ipotesi , progetto , situazione . «Vi ho visto uscire» vale quanto «vi
ho viste uscire», «le do» quanto «gli do». «Dico che è un bene»
sostituisce «dico che sia un bene».
Meno alternative e rigidità
normative, maggiore semplificazione e vicinanza tra scritto e orale,
contagio dell’inglese e delle altre lingue dei «nuovi italiani»,
influenza della sintassi — «orizzontale», con poche subordinate — di
Internet e dei social newtork: istantanee dell’italiano che cambia, così
come viene fotografato nel numero in uscita il primo marzo della
rivista «Nuovi Argomenti» (Mondadori), curato da Giuseppe Antonelli. Che
lingua fa? è il titolo del volume, che raccoglie gli interventi dei
linguisti più autorevoli (tra i quali Tullio De Mauro, Gian Luigi
Beccaria, Vittorio Coletti, Michele Cortelazzo, Nicoletta Maraschio,
Claudio Marazzini, Luca Serianni, Pietro Trifone), ma anche l’esperienza
diretta di chi con le parole lavora ogni giorno, contribuendo alla loro
vitalità ed evoluzione. Editor e traduttori, poeti e scrittori (tra i
quali Andrea Camilleri, Nicola Lagioia, Emanuele Trevi).
Il punto
di partenza, per tutti, è una ricognizione su come stia oggi l’italiano.
Il modello è quanto fece, poco più di cinquant’anni fa, nelle Nuove
questioni linguistiche (1964), Pier Paolo Pasolini, teorizzando la
nascita di un italiano «tecnologico», nutrito non più dai letterati, ma
dai protagonisti dell’economia neocapitalistica.
Ora come allora,
la lingua non è solo fonetica e morfologia, sintassi e lessico:
intrattiene strette correlazioni con la realtà e il contesto
storico-sociale di chi la usa. Una prospettiva che la rassegna curata da
Antonelli non perde mai, risultando avvincente anche per i non addetti
ai lavori. Tra i vari articoli, ad esempio, quello dello scrittore
Giorgio Vasta, dal titolo La sagacia. Appunti sul discorso politico
nazionale attraverso la social top ten di Gazebo , la trasmissione di
Raitre condotta da Diego Bianchi, in arte Zoro, in cui occupa uno spazio
decisivo la rilettura dei fatti attraverso Twitter. D’altra parte, come
nota nel suo intervento lo studioso Paolo D’Achille, lo stesso Bruno
Migliorini concludeva la fondamentale Storia della lingua (1960),
sostenendo che «l’italiano sarà ciò che sapranno essere gli italiani».
Numerosi,
nel volume di «Nuovi Argomenti», gli articoli che toccano il ruolo
della scuola, sia per quanto riguarda l’integrazione (anche linguistica)
di chi arriva da altri Paesi, sia l’insegnamento ai ragazzi italiani.
Dei quali — scrive tra gli altri Rita Librandi — «è centrale e
preoccupante la progressiva regressione delle competenze lessicali e
della capacità di adoperare una lingua in grado di argomentare ogni
questione».
Sintetizza la situazione nel suo complesso, con uno
sguardo al futuro, Nicoletta Maraschio: «I giovani che parleranno e
scriveranno l’italiano di domani rispecchiano le contraddizioni
dell’Italia linguistica di oggi; leggono di più dei loro genitori e
usano quasi tutti Internet e i social network, ma spesso lo fanno per
funzionalità ridotte e la percentuale dei non lettori è ancora troppo
elevata; conoscono meglio l’inglese ma sono indifferenti all’abuso di
anglismi che rende poco trasparente l’italiano di oggi». Quindi
l’attenzione si sposta sugli studenti di origine straniera: «Tra i
giovani ci sono naturalmente anche i migranti, che hanno conoscenze
molto differenziate», fino a concludere che quella «dei diritti e dei
doveri dell’integrazione linguistica è una questione centrale che
coinvolge molti soggetti, a cominciare dalla scuola e dalla politica».
E
anche chi, soprattutto, la convivenza di italiano e idioma d’origine la
sperimenta in primo luogo dentro di sé. «C’è una lingua della
conoscenza — testimonia Igiaba Scego, autrice nata nel nostro Paese da
genitori somali, che nei suoi romanzi si esprime in italiano — e c’è una
lingua del cuore. Le storie devono essere sempre scritte in una lingua
che le contiene entrambe».