Corriere 26.2.16
Il rischio di affidarsi al sacro
Contro il sacro. Perché le fedi ci rendono stupidi (Rizzoli, pp. 233, e 18) di Edoardo Boncinelli
Alla
fine del II secolo d.C. Sesto Empirico apriva i propri Schizzi
pirroniani con la descrizione dei tre esiti possibili di un’attività di
ricerca ( sképsis , in greco): scoprire ciò che si cerca, dichiararlo
irraggiungibile o continuare a cercare. Gli scettici, dichiarava subito
dopo, scelgono quest’ultimo approccio. Molti secoli dopo Karl Popper, a
conclusione della Logica della scoperta scientifica (1934), affermava
che «non è il possesso della conoscenza, della verità irrefutabile, che
fa l’uomo di scienza, ma la ricerca, persistente e temerariamente
critica, della verità». L’intera storia del pensiero occidentale, dai
Presocratici ai giorni nostri, è caratterizzata dall’indagine razionale
sul mondo. Ricerca scientifica e dubbio metodico sono inseparabili: la
scienza è profana per definizione, si svolge cioè «fuori dal tempio» (
pro fano ). Al contrario della religione, che vincola ( re-ligare ) a un
certo numero di credenze indubitabili. Dubbio, dunque scienza (e
«scienza, dunque democrazia», come ha mostrato Gilberto Corbellini);
credenza, dunque religione, cioè gestione del sacro.
La nostra
società vive quotidianamente di scienza (per sostentarci, viaggiare,
comunicare e quant’altro) e ampie fasce della popolazione si
entusiasmano per le conquiste della ricerca: ne è un esempio il recente
clamore seguito all’annuncio della rilevazione delle onde
gravitazionali, previste un secolo fa da Albert Einstein con l’esercizio
della pura ragione. Eppure la nostra non è una società secolarizzata:
è, anzi, una società in cui il senso del sacro — l’idea di appartenenza,
di adesione a un gruppo — appare sempre più forte. E sempre di più le
nostre comunità sembrano essere il terreno di coltura ideale per ogni
sorta di fondamentalismi. Nel suo ultimo libro Contro il sacro. Perché
le fedi ci rendono stupidi (Rizzoli, pp. 233, e 18) Edoardo Boncinelli
ci invita a riflettere su questa contraddizione, illustrando i bisogni
biologici e sociali che hanno favorito la nascita e la crescita
dell’idea del sacro. L’uomo sente la necessità di avere punti di
riferimento (all’interno o all’esterno di una religione costituita): per
orientarsi in ciò che non conosce, per agire e per sopravvivere. È
forse per noi un’esigenza ineludibile, ma rischia di svilire la nostra
stessa natura. A questi «appigli», sostiene infatti Boncinelli, sarebbe
bene aggrapparsi il meno possibile: altrimenti finiamo per assuefarci a
un modo di ragionare in cui non c’è più spazio per la libertà
individuale. Il culto del sacro, qualunque esso sia, ci porta a
escludere l’idea che alcune cose possano avvenire semplicemente per
caso, senza una ragione specifica o senza una ragione semplice da
individuare. La convinzione che dietro a ogni cosa ci sia un «agente» ci
porta a pensare che esistano sempre dei responsabili (altri da noi)
alla base degli eventi. Siamo allora portati a giudicare e a condannare,
rifiutando ogni responsabilità. Nel «sonno della ragione» la
razionalità si mette al servizio dell’emotività e dell’irrazionalità, e
il ricorso all’intoccabilità del sacro favorisce l’ignoranza e conduce
all’isolamento.
Nuovi misticismi e rinvigoriti fondamentalismi,
conclude Boncinelli, sono un indice puntato contro la nostra innata
propensione a fuggire le nostre responsabilità. Sapere aude! , esortava
Immanuel Kant: «Abbi il coraggio di sapere!». Per osare sapere, però,
occorre sapere osare. Ci vuole coraggio, perché sapere comporta una
disponibilità e una capacità di affrontare rischi ai quali per secoli ci
è stato comodo sfuggire. Comporta una responsabilità che, per quanto
gravosa, dà sapore al nostro essere umani.