Corriere 25.2.16
Le storie della scienza
Successi arrivati per caso e dimostrazioni geniali
Quel filo che unisce Galileo e le onde gravitazionali
di Paolo Virtuani
La
storia della scienza è piena di storie straordinarie, scoperte
importantissime avvenute per caso (Fleming e la penicillina forse è la
più famosa), truffe spacciate da studi epocali, sacrifici portati fino
all’estrema conseguenza, ostinazione contro il buon senso ma che alla
fine ha avuto i giusti riconoscimenti, dimostrazioni lampanti che fanno
dire «possibile che nessuno ci avesse pensato prima?», fallimenti,
delusioni, marce indietro. Il percorso della scienza non è mai stato
lineare, anzi è costellato di tentativi, ribaltamenti e riconoscimenti
postumi. Vediamone alcuni.
Il gatto di Schrödinger
Il signor
Erwin Schrödinger aveva un gatto per il quale aveva preparato una
scatola comoda e calda dove poteva dormire tranquillo. Solo che il suo
gatto aveva una caratteristica: certi giorni all’apertura della scatola
il micio balzava su facendo le fusa e voleva le coccole, altri giorni
quando la scatola veniva aperta, il gatto era morto. Ma il signor
Schrödinger non si preoccupava: richiudeva la scatola, aspettava un po’ e
sbirciava di nuovo. Quando sentiva un miao capiva che il micione era
tornato vivo e voleva essere grattato dietro le orecchie. Gli capitava
di dover aprire e chiudere la scatola diverse volte, perché il felino
proseguiva ostinato nel suo stato di cadavere, ma sapeva che prima o poi
aprendo la scatola lo avrebbe trovato pronto a balzare fuori. Il suo
gatto non aveva sette vite — come tutti i gatti che si rispettano — e
nemmeno viveva in una scatola magica. Quello del signor Erwin
Schrödinger di Vienna era un «gatto quantistico». Il gatto di
Schrödinger era fatto tutto di quanti, le più elementari delle
particelle elementari, che possono esistere contemporaneamente in due
stati contrapposti in cui uno, nel nostro normale sistema di
riferimento, esclude categoricamente l’altro. I quanti invece sono allo
stesso momento vivo e morto, alto e basso, destra e sinistra, positivo e
negativo, più e meno, Milan e Inter. Soltanto quando si va a osservarli
o a misurarli, i quanti assumono uno dei due stati. È una delle tante
stranezze della meccanica quantistica che però sono state dimostrate
vere da numerosi esperimenti. Quello di Schrödinger era un paradosso, ma
se i quanti sono i componenti fondamentali della materia, anche noi
siamo fatti di quanti. E se ci chiudono in una scatola, prima che
qualcuno la apra potremmo essere allo stesso tempo vivi e morti? In
attesa di risposta il gatto ha fatto miao e vuole i croccantini.
I continenti di Wegener
Il
6 gennaio 1912 a Francoforte Alfred Wegener espose le sue idee di un
supercontinente primordiale che si frantumò dando origine ai continenti
che ora vediamo. La sua intuizione, che nacque osservando la concordanza
dei margini di Sudamerica e Africa, venne accolta con interesse ma non
divenne per altri 50 anni il modello geologico standard, anche perché
non riusciva a spiegare nel dettaglio i movimenti di migliaia di
chilometri compiuti dai continenti. Solo nel 1967 venne elaborata la
teoria della tettonica a placche, secondo la quale le zolle
litosferiche, e non i continenti nella loro interezza che possono essere
formati da più zolle, «galleggiano» e si muovono sulla parte superiore
semifusa del mantello. Wegener morì nel 1930 in una spedizione in
Groenlandia durante la quale la temperatura arrivò a -60 gradi. Il suo
corpo congelato fu trovato sei mesi dopo e seppellito nella neve dove
tuttora riposa.
Galileo e le sfere
Alcune sfere di peso e
diametro diversi, un piano inclinato. Poche cose semplici. Eppure sono
bastate a Galileo Galilei per dimostrare una legge fondamentale della
fisica. E soprattutto sfidare colui che all’epoca era considerato la
massima autorità del sapere: Aristotele, grande filosofo ma che in campo
scientifico lasciava a desiderare. Anche perché non possedeva il
«metodo» di Galileo che è tuttora alla base della scienza, ossia la
sperimentazione. Per Aristotele un corpo cadeva più velocemente quanto
più era pesante. Lo aveva verificato? Assolutamente no, era andato a
intuito. Ma siccome l’aveva detto lui, doveva essere così. E così è
stato per secoli, finché un giorno del 1604 Galileo dimostrò che non
dipende dal peso: un corpo in caduta libera (senza la resistenza
dell’aria) si muove con moto rettilineo uniformemente accelerato.
Con
questo esperimento nacque la scienza moderna, quella che ha portato a
Newton, a Darwin, a Einstein. E poche settimane fa alla scoperta
sperimentale delle onde gravitazionali.