giovedì 25 febbraio 2016

Corriere 25.1.16
Il neopresidente Grossi al timone e l’applicazione «evolutiva» della Carta

Come un Papa appena eletto che ringrazia e chiede aiuto ai cardinali a fine conclave, il neopresidente della Corte costituzionale Paolo Grossi rende omaggio alla generosità dei colleghi che l’hanno scelto all’unanimità e confida nella loro collaborazione «per assolvere il prestigioso ma gravoso compito affidato alla mia modesta persona». Il professore che ha impresso una svolta alla Storia del diritto traghettandola dal Medioevo all’età moderna e contemporanea, che dopo cinquant’anni d’insegnamento è stato nominato giudice costituzionale nel 2009, resterà alla guida della Consulta per i prossimi due anni. Al suo fianco non avrà due vicepresidenti ma tre (a Giorgio Lattanzi e Marta Cartabia s’è aggiunto Aldo Carosi) per meglio distribuire le competenze nella gestione dei problemi «anche nuovi» che il collegio dovrà affrontare. «Io non ho un programma, se non quello di proseguire nel solco di sessant’anni di provvidenziale attività della Corte», si schermisce Grossi, evocando l’applicazione di «principi espressi e inespressi dalla Costituzione» da cui è scaturito un «breviario di diritti fondamentali a beneficio dei cittadini». Affermazioni che in realtà costituiscono eccome un programma: proseguire nell’applicazione in qualche modo «evolutiva» della Carta entrata in vigore nel 1948, individuando «diritti ricercati e trovati nella trame nascoste di quel testo», non esplicitati e catalogati all’epoca ma viventi e applicabili oggi. Ecco perché, sostiene Grossi, la Corte «più che emanazione dello Stato è emanazione della società civile», e soprattutto «non è un organo politico ma di garanzia». Conseguenza: «Siamo un tribunale e siamo giudici, non altro; non chiedeteci di fare altro». Risposta indiretta ma chiara a chi accusa la Consulta di fare il gioco di questo o quello schieramento. Arrivata proprio mentre da Lega e destra giungevano gli strali per la sentenza che ha bocciato la legge lombarda sulle moschee: «Abbiamo semplicemente evitato una discriminazione vietata dall’articolo 19 della Costituzione», spiega il neopresidente. E sul verdetto che ha rispedito al mittente una questione legata alle adozioni da parte di coppie gay chiarisce: «C’era una palese inammissibilità, nulla a che vedere con ciò che bolle nella pentola del Parlamento».