Corriere 25.1.16
Il neopresidente Grossi al timone e l’applicazione «evolutiva» della Carta
Come
 un Papa appena eletto che ringrazia e chiede aiuto ai cardinali a fine 
conclave, il neopresidente della Corte costituzionale Paolo Grossi rende
 omaggio alla generosità dei colleghi che l’hanno scelto all’unanimità e
 confida nella loro collaborazione «per assolvere il prestigioso ma 
gravoso compito affidato alla mia modesta persona». Il professore che ha
 impresso una svolta alla Storia del diritto traghettandola dal Medioevo
 all’età moderna e contemporanea, che dopo cinquant’anni d’insegnamento è
 stato nominato giudice costituzionale nel 2009, resterà alla guida 
della Consulta per i prossimi due anni. Al suo fianco non avrà due 
vicepresidenti ma tre (a Giorgio Lattanzi e Marta Cartabia s’è aggiunto 
Aldo Carosi) per meglio distribuire le competenze nella gestione dei 
problemi «anche nuovi» che il collegio dovrà affrontare. «Io non ho un 
programma, se non quello di proseguire nel solco di sessant’anni di 
provvidenziale attività della Corte», si schermisce Grossi, evocando 
l’applicazione di «principi espressi e inespressi dalla Costituzione» da
 cui è scaturito un «breviario di diritti fondamentali a beneficio dei 
cittadini». Affermazioni che in realtà costituiscono eccome un 
programma: proseguire nell’applicazione in qualche modo «evolutiva» 
della Carta entrata in vigore nel 1948, individuando «diritti ricercati e
 trovati nella trame nascoste di quel testo», non esplicitati e 
catalogati all’epoca ma viventi e applicabili oggi. Ecco perché, 
sostiene Grossi, la Corte «più che emanazione dello Stato è emanazione 
della società civile», e soprattutto «non è un organo politico ma di 
garanzia». Conseguenza: «Siamo un tribunale e siamo giudici, non altro; 
non chiedeteci di fare altro». Risposta indiretta ma chiara a chi accusa
 la Consulta di fare il gioco di questo o quello schieramento. Arrivata 
proprio mentre da Lega e destra giungevano gli strali per la sentenza 
che ha bocciato la legge lombarda sulle moschee: «Abbiamo semplicemente 
evitato una discriminazione vietata dall’articolo 19 della 
Costituzione», spiega il neopresidente. E sul verdetto che ha rispedito 
al mittente una questione legata alle adozioni da parte di coppie gay 
chiarisce: «C’era una palese inammissibilità, nulla a che vedere con ciò
 che bolle nella pentola del Parlamento».