Corriere 13.2.16
I timori del premier per quegli istituti da mettere al sicuro
di Francesco Verderami
Da
due anni in molti nel Palazzo cercavano «il tallone di Matteo» e ora
ritengono di averlo trovato: le banche sono per il presidente del
Consiglio il principale problema, un vero cruccio, e non soltanto per
gli strascichi politici che il «caso Etruria» potrebbe provocare .
L’aspetto
più importante e preoccupante è la tenuta del sistema creditizio
italiano, se è vero che Renzi in questi giorni è tornato a esaminare
insieme al sottosegretario Lotti il dossier che alimenta uno stato di
ansia a Palazzo Chigi. Perché «altre dieci banche — ha rilevato il
premier — stanno nelle stesse condizioni» in cui versavano i quattro
istituti che hanno costretto il governo all’intervento di emergenza. Se
così stanno le cose, resta da capire quanto potrebbero incidere questi
nuovi casi, che poi è la domanda girata da Renzi ai suoi esperti. E la
risposta in termini di costi non deve averlo sollevato, visto il sospiro
che ha tirato: «Ma ce la caveremo», ha concluso.
Le banche sono
«il tallone di Matteo», è sulle banche che si gioca per intero la sua
credibilità. Basta ripercorrere gli ultimi mesi infatti per vedere le
avvisaglie di una tempesta perfetta: è a causa delle banche se è calato
il gelo tra il governo e il governatore; è a difesa della Banca che —
caso unico finora — Mattarella si è esposto e si è schierato; c’entrano
anche le banche nel rapporto altalenante sull’asse Roma-Francoforte; è
sulle banche che gli avversari politici del premier — fuori e dentro il
Pd — stanno investendo, con un occhio interessato all’inchiesta
giudiziaria per il «caso Etruria» in cui è coinvolto il padre del
ministro Boschi.
Quest’ultimo aspetto potrebbe rivelarsi persino
marginale, qualora il sistema creditizio dovesse entrare in difficoltà:
perché se alle sofferenze bancarie si unisse una nuova e imprevista fase
recessiva, si allontanerebbe per Renzi l’obiettivo di accostarsi alle
elezioni portando in dote al Paese la ripresa. E certo gli ultimi dati
offerti dall’Istat non promettono bene, tanto da far ipotizzare al
ministero dell’Economia un innalzamento del rapporto debito-Pil, magari
non nella rilevazione della prossima settimana ma in quella successiva.
Immaginare
però che il governo vada in default politico, è tutta un’altra storia.
Non ha fondamento l’idea che Renzi possa essere sostituito a Palazzo
Chigi senza passare dalle urne, che possa toccargli la stessa sorte di
Berlusconi. Perché «il tallone di Matteo» sarà pure vulnerabile, ma la
situazione è ben diversa. Non è dato sapere se sia stato lo stesso
premier a far alimentare le voci sul suo eventuale disarcionamento, così
da portare allo scoperto i suoi avversari. È certo che in numerosi
colloqui riservati proprio Renzi ha rimarcato l’impossibilità di essere
interprete — suo malgrado — di un remake del film «2011».
Le
differenze sono sostanziali. L’attuale governo italiano è più forte
rispetto a quello di cinque anni fa, mentre è più debole il contesto
europeo in cui maturò quella crisi: allora venne meno la maggioranza
parlamentare, che oggi invece s’ingrossa quotidianamente; allora il Pd
sembrava rappresentare una vincente alternativa di governo, adesso non
solo il centrodestra deve ancora trovare un assetto, persino il
Movimento Cinquestelle è in crisi, come dimostrano le epurazioni di
massa. Insomma, se «il tallone di Matteo» è esposto, quello dei suoi
avversari lo è ancor di più. Dunque non ci sono le condizioni per una
crisi politica. Ci sono però i rischi di una crisi di sistema.
Ma
proprio il nodo delle banche potrebbe rappresentare per Renzi
un’occasione di riscatto. Perché se sull’Italia pesa il fardello del
debito, sulla Germania iniziano a pesare i bilanci degli istituti di
credito, e dalle gravi difficoltà di
Deutsche Bank il premier
avrebbe modo di ottenere credito in Europa. Certo le battute non
contano, ma ieri l’ironia con cui si commentavano le traversie tedesche
(«ora ci offriranno di sospendere il bail in fino al 2050») facevano da
cornice a riflessioni di governo più serie: «La crisi a Berlino potrebbe
segnare una svolta nella crisi dell’Europa, e dare inizio a una riforma
condivisa per superare difficoltà che investono i Paesi dell’Unione». A
patto che Renzi non dimentichi di avere il «tallone» scoperto.
Francesco Verderami