giovedì 11 febbraio 2016

Corriere 11.2.16
Se il Paese è lo specchio di uno show
di Aldo Grasso

Debutto col botto per il Festival di Sanremo. La prima serata ha fatto registrare una media di 11 milioni 134mila telespettatori, share al 49,48%. Di fronte a numeri simili, di solito si tace ammirati. Poniamoci invece una semplice domanda. Com’è possibile che così tante persone seguano un programma così ordinario? Sanremo è il nostro Super Bowl? È la nostra vera Festa Nazionale? Proviamo a rovesciare il cliché classico che si usa in questi casi: Sanremo è lo specchio del Paese. Manco per idea, semmai è vero il contrario: il Paese è lo specchio di Sanremo. Sanremo è semplicemente quello che ci meritiamo. Una serata dove non c’era un briciolo di contemporaneità; una serata dove un modesto apprezzamento sulla gioia della paternità è stato letto come uno spot a favore dei matrimoni gay; una serata dove i cantanti più impegnati se la sono cavata con un nastrino arcobaleno; una serata dove Aldo, Giovanni e Giacomo rispolverano una loro vecchia gag per paura di affrontare materiale nuovo; una serata dove ci sono ancora la valletta e il valletto... Una serata che, volendo, funziona meglio dell’Istat o del Censis per capire come siamo e dove siamo diretti. A Sanremo si scambia la festa per il quotidiano, l’evento per il tran tran, la prevedibilità per l’emozione. Il Festival ci dice con chiarezza quello che non abbiamo più il coraggio di dirci: siamo un Paese votato alla medietà, termine più elegante per non scrivere mediocrità. Con tutto il rispetto per la tv generalista (con tutto l’amore) bisogna pur interrogarsi sul fatto che al pieno di audience corrisponda un vuoto di idee. Solo in Italia è il conduttore a chiedere alla platea la standing ovation. Possiamo ancora una volta gridare al miracolo, consolarci con il fatto che i numeri hanno sempre ragione, rassicurarci con l’idea che, alla fine dei Conti, siamo fatti così.