Corriere 11.2.16
Se il Paese è lo specchio di uno show
di Aldo Grasso
Debutto
col botto per il Festival di Sanremo. La prima serata ha fatto
registrare una media di 11 milioni 134mila telespettatori, share al
49,48%. Di fronte a numeri simili, di solito si tace ammirati. Poniamoci
invece una semplice domanda. Com’è possibile che così tante persone
seguano un programma così ordinario? Sanremo è il nostro Super Bowl? È
la nostra vera Festa Nazionale? Proviamo a rovesciare il cliché classico
che si usa in questi casi: Sanremo è lo specchio del Paese. Manco per
idea, semmai è vero il contrario: il Paese è lo specchio di Sanremo.
Sanremo è semplicemente quello che ci meritiamo. Una serata dove non
c’era un briciolo di contemporaneità; una serata dove un modesto
apprezzamento sulla gioia della paternità è stato letto come uno spot a
favore dei matrimoni gay; una serata dove i cantanti più impegnati se la
sono cavata con un nastrino arcobaleno; una serata dove Aldo, Giovanni e
Giacomo rispolverano una loro vecchia gag per paura di affrontare
materiale nuovo; una serata dove ci sono ancora la valletta e il
valletto... Una serata che, volendo, funziona meglio dell’Istat o del
Censis per capire come siamo e dove siamo diretti. A Sanremo si scambia
la festa per il quotidiano, l’evento per il tran tran, la prevedibilità
per l’emozione. Il Festival ci dice con chiarezza quello che non abbiamo
più il coraggio di dirci: siamo un Paese votato alla medietà, termine
più elegante per non scrivere mediocrità. Con tutto il rispetto per la
tv generalista (con tutto l’amore) bisogna pur interrogarsi sul fatto
che al pieno di audience corrisponda un vuoto di idee. Solo in Italia è
il conduttore a chiedere alla platea la standing ovation. Possiamo
ancora una volta gridare al miracolo, consolarci con il fatto che i
numeri hanno sempre ragione, rassicurarci con l’idea che, alla fine dei
Conti, siamo fatti così.