Corriere 11.2.16
Grasso e quell’intesa che limita i voti segreti: così rispetto la Carta
di Monica Guerzoni
ROMA
«Con l’arbitro schierato la partita è finita», sospira sconsolato
Gaetano Quagliariello. E un altro nemico della legge Cirinnà, Mario
Mauro, si aggira per il salone di Palazzo Madama annotando mestamente
due numeri sui taccuini dei cronisti, 161 e 159. «Siamo sul filo, ma
vinceranno loro. L’articolo 5 con la stepchild adoption passerà,
nonostante il voto contrario di Monti, di Napolitano e di 35 dem. E
andrà liscio per il Pd anche il voto finale».
Le speranze del
fronte trasversale che si oppone all’adozione e ai diritti per le coppie
gay si sono infrante in Aula alle cinque della sera. Quando il
presidente Pietro Grasso — dopo giorni di patemi e riserbo, trascorsi a
compulsare cavillosamente la Costituzione, il codice civile, il testo
della legge Cirinnà e il regolamento del Senato — ha stoppato a sorpresa
la richiesta delle opposizioni, che volevano fermare il cammino della
legge. Il problema, per gli ultrà cattolici, è che la scelta di non
concedere il voto segreto sul dispositivo congegnato dal leghista
Calderoli piazza una cospicua ipoteca sull’intera legge. Da martedì in
poi, quando comincerà la battaglia degli emendamenti, è prevedibile che
Grasso concederà pochissimi voti segreti, proprio come auspicato da
giorni dal capogruppo del Pd, Luigi Zanda.
Affermando che il
segreto non può essere concesso perché «la disciplina delle formazioni
sociali dove si svolge la personalità dell’individuo», tra cui le
famiglie gay, «trova il proprio fondamento costituzionale nell’articolo
2» e non nell’articolo 29 della Carta, Grasso costruisce una rigida
cornice alle prossime scelte. E si prepara a sminare il terreno da gran
parte degli ordigni piazzati dalle minoranze. Gli attacchi sono
veementi, ma lui tira dritto, convinto di essere nel giusto. «Ma come —
si sarebbe sfogato con i suoi — prima fanno togliere dal testo Cirinnà
ogni rimando alla famiglia e poi si arrabbiano se io mi riferisco
all’articolo 2?».
Ieri diversi senatori osservavano come, per la
prima volta, la seconda carica dello Stato opta per una soluzione tutta
politica, invece che procedurale. E anche se «realpolitik» non fosse la
parola giusta per segnale la svolta, colpisce l’inedita sintonia con le
ambizioni del Pd. L’intesa con i dem era prevedibile, vista la
dichiarata convinzione di Grasso che l’Italia debba in fretta
«riconoscere piena cittadinanza ai diritti delle coppie omosessuali».
Eppure una simile comunione di intenti ha spiazzato le opposizioni.
Giovanardi ha dato a Grasso del «servo sciocco della maggioranza» e il
presidente ha replicato marcando la distanza dagli umori del Family Day:
«La prendo come una medaglia».
Oltre a Zanda, che tratta nel
partito e con le altre forze politiche, un ruolo decisivo lo ha avuto il
ministro della Giustizia, Andrea Orlando: oltre a mediare tra le anime
del Pd in lotta, la scorsa settimana durante una pausa della discussione
ha parlato a quattr’occhi con Grasso. E al Pd c’è anche chi sottolinea
come, tra i pochi dem ascoltati da Grasso, ci sia Beppe Lumia, autore di
diversi emendamenti di mediazione. Ma questa volta, assicurano al
quartier generale del Pd, «non c’è stato bisogno di fare pressione
alcuna sul presidente, perché marciavamo nella stessa direzione». Dopo
le tensioni sulle riforme, il Pd sembra aver saldato un asse con l’ex
magistrato, che potrebbe mettere fuori gioco le opposizioni. «Cucù, il
presidente non c’è più!» si sfoga Quagliariello. Eppure non tutti sono
convinti che la partita sia davvero chiusa a favore di Renzi. È vero che
il 195 a 101 di ieri è una vittoria piena, ma è vero anche che al Pd
stimano in 170 voti l’asticella della maggioranza: una soglia che si
raggiunge indicando in «una ventina» i cattodem pronti a strappare. Se
invece fossero trenta o più, ecco che l’asticella scenderebbe a 160.
Anche così si spiega la cautela del Pd. Piazzando il «supercanguro» del
renziano Marcucci, che cancella blocchi di emendamenti, il governo
otterebbe una vittoria facile, ma a che prezzo? Il testo potrebbe
uscirne mutilato, senza quelle modifiche che riducono il rischio di
incostituzionalità. I centristi di Alfano si sentirebbero provocati e
gli umori dei cattodem rischierebbero di deflagrare. Calma e gesso
allora, sperando che il tempo (e le mediazioni) conducano la nave in
porto.