Repubblica Cult 10.1.16
Antoni Tàpies
L’artista che dipingeva i suoi sogni sui muri
di Achille Bonito Oliva
Sicuramente
Antoni Tàpies è uno degli artisti più rappresentativi della cultura
europea del secondo dopoguerra. La Fondazione che porta il suo nome a
Barcellona è il deposito di un patrimonio iconografico senza pari, oltre
quattrocento tra pittura, scultura e disegni. Egli è stato al centro
dell’arte del secolo scorso, come dimostra anche la sua collezione
privata di capolavori che raccoglie i nomi più importanti e
significativi: da Picasso a Mirò, da Klee a Pollock. La Fondazione ne ha
esposti una ventina insieme a quaranta opere dell’artista catalano. La
mostra si chiude oggi, ma è l’occasione di una riflessione
sull’influenza del maestro morto tre anni fa.
Di Tàpies
(Barcellona, 1923 – 2012) prevale come superficie pittorica il muro, la
sua composta consistenza, un orizzonte a parete che corre fermo e
irremovibile a sbarrare lo sguardo. Un tracciato dentro la sostanza
cementata che accoglie e trattiene ogni segno in maniera duratura. Le
immagini restano impigliate dentro lo spessore di una materia densa,
corrono a ripararsi nella sostanza del muro, da dove non è possibile
fuggire lontano.
Qui l’arte mostra la sua capacità di ergersi
contro ogni instabilità. Lasciare una traccia significa incidere,
entrare dentro la materia con polso fermo, oppure andare velocemente
incontro alla parete per segnare in corsa la cifra del proprio
passaggio. Caso e decisione, geometrie e forme aperte si pongono in
posizione ferma, immagini astratte di una presenza che non trova altre
testimonianze al di fuori di queste tracce: «Non riesco a capire l’atto
creativo senza farlo dipen- dere interamente da un atteggiamento
personale », dice Tàpies.
Dunque, la sua scelta della parete e del
muro, un supporto utilizzabile da tutti, ma individuato dall’artista
come superficie duratura del gesto pittorico. Forse il muro è di tutti
perché tutti lo possono guardare, patrimonio dell’occhio sociale. Il
sogno dell’arte possiede la forza di farsi vedere e di apparire a coloro
che artisti non sono. Tàpies porta il proprio a contatto del pubblico.
Abbassa il volo delle sue immagini all’altezza dello sguardo collettivo
su un supporto leggibile da tutti. Qui avviene che tempo e spazio
concretizzano i loro intrecci e fissano il loro incontro in forme
visibili. I segni sono quasi sempre graffiti, grumi di materia, piccoli
squarci e ferite che si rapprendono dentro la sostanza della pittura.
Il
muro di Tàpies è attraversato da una scrittura duratura e pure
precaria, fatta di segni muti e calchi di oggetti. Come caduti in una
sostanza che li abbia poi cementati dentro di sé senza più farli
fuggire. Il sogno di Tàpies è interamente calato nel quotidiano, cita
immagini nella prosa innumerevole di piccoli oggetti, piccoli incidenti
di forme che s’incontrano fra loro. Frutto della memoria lunga dell’arte
che trova nella fantasia individuale del suo artefice di dare lunga
vita al deperibile.
Tàpies è il creador di un lungo sogno, quanto
tutti muri che circondano la Spagna e l’Europa. Stampi, calchi, concavo e
convesso, ritmano la superficie secondo accordi e dissonanze spaziali.
Il muro creado è l’opera che porta dentro di sé le pulsioni di una mano
libera da qualsiasi alfabeto definitivo. Qui non esiste ripetizione, ma
prevale l’onnipotenza del gesto irripetibile e individuale che designano
l’energia morale dell’opera di Tàpies. Il sogno dell’artista catalano è
di spostare ogni convenzione del quotidiano sul piano verticale della
parete, dove tutto si tramuta in occasione di segno. Talvolta il muro è
colorato, attraversato da molti rivoli cromatici che inondano la
superficie come a sommergere la materia per portarla in una nuova
condizione squillante che ne trasfigura l’origine. Chiara e lampante è
la consapevolezza dell’artista che soltanto il processo creativo può
restituire alla materia nuova energia e durata.
L’intero percorso
espositivo, quaranta opere di Tàpies dalla metà degli anni Quaranta agli
anni Ottanta e la presenza di circa venti capolavori da lui
collezionati di Klee, Miró, Schwitters, Kandinskij, Ernst, Duchamp,
Kline, Pollock, Dubuffet, Francis, Motherwell, conferma un originale
sogno dell’arte, un’apparizione disponibile per ogni sguardo, pronta a
tramutarsi in comunicazione seppure attraverso un alfabeto visivo che
conosce i labirinti del linguaggio.
Evidente il suo impegno ad
allargare il contagio dell’arte, portare il quotidiano verso una nuova
condizione travolgendo ogni codice e previsione per approdare alla
sorpresa di un altrove. Composizione con figure (1947), Vernis sobre
blanc (1979), Due quadrati bianchi (1981) testimoniano il lungo tragitto
di un artista che ha saputo confrontarsi con le avanguardie storiche
(Espressionismo, Astrattismo, Surrealismo) e con quelle del proprio
tempo (Informale, New Dada e Pop Art). Alcune opere anticipano il
Graffitismo a prova che i sogni di Tàpies possono liberamente circolare.
Partono dalle immagini dell’arte e poi dirottano ad un’altezza più
accessibile, fino ad arrivare alle bocche, agli orecchi e agli occhi
comuni. Etica ed estetica trovano qui una coniugazione armoniosa che ha
permesso a Tàpies di attraversare diversi climi politici e sociali,
franchismo e ritorno alla democrazia con spirito resistenziale e
attitudine sperimentale. Un’avventura creativa e un monito a futura
memoria per un’Europa in cui ben altri muri vengono eretti.