venerdì 8 gennaio 2016

Repubblica 8.1.16
La Polonia e lo spettro autoritario
di Timothy Garton Ash


LA POLONIA, potenza cruciale nell’Europa centrale post comunista, rischia di essere ridotta a una democrazia illiberale ad opera del partito recentemente eletto al governo del paese. Improvvisamente alcuni pilastri fondamentali di questa ancor giovane democrazia liberale, ossia la Corte costituzionale, le emittenti pubbliche e l’amministrazione statale, si ritrovano sotto tiro. Bisogna che le democrazie alleate, in Europa e oltreoceano, diano voce a tutta la loro preoccupazione di fronte a una svolta carica di ripercussioni per tutto l’Occidente democratico.
E va fatto in tempi brevi. Perché la “guerra lampo” politica realizzata negli ultimi due mesi indica che la strategia del partito Diritto e Giustizia (PiS), e in particolare del suo vero leader, Jaroslaw Kaczynski, è fare il lavoro sporco, trasformando il sistema politico rapidamente, addirittura brutalmente, per mostrare poi un volto più amabile, più pragmatico. Kaczynski ha la maggioranza parlamentare necessaria (seppur non i due terzi richiesti per le modifiche costituzionali), gode tuttora di un sostegno popolare considerevole e, sorprendentemente, il presidente del paese si comporta come la sua marionetta. Da almeno vent’anni Kaczynski sogna di realizzare quello che ai suoi occhi è il completamento della rivoluzione anticomunista del 1989, ma sa bene, avendo a mente la sua esperienza di governo dal 2005 al 2007, che l’occasione potrebbe sfuggirgli. Così, come Macbeth, si dice: «Se fosse fatto… allora sarebbe bene che fosse fatto presto».
Dato che molti di quelli che hanno votato il partito di Kaczynski alle elezioni dello scorso autunno giudicheranno queste mie parole espressione di una critica faziosa e ingiusta, voglio essere molto chiaro su ciò che non sto dicendo. Non contesto che un partito dotato di una netta maggioranza parlamentare porti avanti il suo programma conservatore, cattolico e euroscettico dichiarato, appaiandolo intelligentemente a una serie di promesse quasi di sinistra nel campo dell’economia e del welfare. Sono politiche che posso non gradire, ma siamo in democrazia. Da quasi quarant’anni ormai mi considero un amico della Polonia, non di un solo ambiente sociale, e tantomeno di un partito in particolare. Tra i ricordi più commoventi che serbo c’è l’enorme folla davanti allo storico monastero di Czestochowa che saluta Papa Giovanni Paolo II nel 1983 cantando l’antico inno patriottico «ridonaci o Signore, una patria libera».
Il PiS rappresenta tutta una componente conservatrice e religiosa della società polacca, nonché un buon terzo dell’elettorato. Rastrellando abilmente altri voti, sfruttando la delusione degli elettori nei confronti del partito di centro Piattaforma civica e il caos patetico esistente nella sinistra polacca, il PiS ha riportato una clamorosa vittoria in un’elezione libera e regolare — come i conservatori di David Cameron in Gran Bretagna.
Quindi non è per l’orientamento, le politiche o l’ideologia del governo in carica che gli amici della Polonia sono chiamati a dare l’allarme, ma per il tentativo unilaterale da parte del partito vincente di cambiare le regole dell’intero gioco democratico.
Il paragone con la Gran Bretagna a guida conservatrice è interessante, perché i politici del PiS, a loro detta, sono impegnati a realizzare un sistema analogo alla sovranità parlamentare di marca britannica. Un politico conservatore mio connazionale definì il sistema politico britannico una “dittatura elettiva”, riferendosi allo straordinario potere concentrato nelle mani di un primo ministro che goda di una consistente e disciplinata maggioranza parlamentare. Ma pur non disponendo di una costituzione scritta, come gli Stati Uniti o la Germania, la Gran Bretagna vanta efficaci meccanismi di controllo: un capo di stato di impeccabile imparzialità, una giustizia fortemente indipendente che non si esime dal condannare i ministri del governo, la Bbc, un’amministrazione statale professionale, servizi di sicurezza che (di questi tempi, a quanto ne so) non fanno il gioco di un politico contro altri politici, una solida cultura di dibattito politico civile… devo continuare?
In Polonia, invece, il presidente, Andrzej Duda, realizza la strategia del suo capo politico. Duda vanta un dottorato in giurisprudenza ma a detta proprio del suo supervisore ha già violato la costituzione per tre volte. Nuove norme e nuove nomine dei giudici andranno a esautorare la Corte costituzionale (formalmente Tribunale Costituzionale), la nuova legge sui media firmata ieri da Duda porrà le emittenti pubbliche sotto il potere diretto del governo, ai vertici della pubblica amministrazione andranno nomine politiche e così via. Estremizzando, immaginatevi Nigel Farage al posto della regina (Re Nigel I?), il direttore del Daily Mail Paul Dacre nominato dal partito al governo a capo della Bbc e il giornalista del Mail Richard Littlejohn capo del Foreign Office.
Fortunatamente la società polacca si sta già mobilitando in difesa della democrazia liberale. Già nel novembre scorso il 55% degli intervistati in un sondaggio di opinione ha risposto che in Polonia la democrazia è a rischio. Anche la Ue ha reagito in termini più aspri rispetto a quanto abbia fatto a fronte delle riforme analoghe (e peggiori) apportate nell’Ungheria di Viktor Orbán. La dice lunga l’incontro privato tra Kaczysnki e Orbán tenutosi questa settimana e durato cinque ore al fine di coordinare le rispettive posizioni.
La settimana prossima, il giorno successivo alla seduta della Corte costituzionale polacca mirata a stabilire la costituzionalità della menomazione cui viene sottoposta, la Commissione Europea discuterà se l’attacco alla Corte e la nuova legge sui media non giustifichi l’istituzione di un nuovo meccanismo Ue a tutela della legalità negli stati membri. I media tedeschi hanno dato particolare risalto alla pericolosa svolta registrata in Polonia, si da il caso che il Commissario europeo responsabile per i media sia tedesco, come lo è Martin Schulz, l’esplicito presidente del Parlamento europeo.
Ma se lasciamo la questione a Bruxelles e ai tedeschi sarà fin troppo facile per i sostenitori di Kaczynski sostenere che Bruxelles dà ordini alla Polonia proprio, come un tempo faceva Mosca, e far leva su un sentimento antitedesco ancora latente. Serve quindi una presa di posizione anche da parte degli amici tradizionali della Polonia, la Francia, sua storica alleata, ad esempio (la Polonia è l’unico paese che conosco a fare riferimento in termini positivi a Napoleone nel suo inno nazionale); la Spagna, altra grande nazione di tradizione cattolica, che ha vissuto la transizione dalla dittatura alla democrazia; l’Italia; il Canada. Non da ultimo dovremmo sentire la voce degli Stati Uniti, soprattutto dal momento in cui la Polonia si prepara a ospitare in estate un importante vertice Nato e auspica basi Nato permanenti nel paese.
E la Gran Bretagna? In termini realistici Cameron è il politico in questo momento meno propenso a criticare Kaczynski, perché ha disperato bisogno di un accordo sulle prestazioni a sostegno del reddito per gli occupati immigrati (in maggioranza polacchi) per poter vincere il referendum sull’adesione della Gran Bretagna alla Ue. Vale comunque la pena di fare un tentativo, se non altro per sentire la sua risposta ambigua. Allora c’è qualche parlamentare disposto a presentare al premier un’interrogazione sulla Polonia al prossimo question time alla Camera dei Comuni?
Traduzione di Emilia Benghi