Repubblica 7.1.16
I rischi della crisi tra Iran e Arabia Saudita
Il rapporto con gli Stati Uniti resta un fattore dominante della stabilità della regione
di Ferdinando Salleo
QUALI ragioni hanno spinto i sauditi, di solito cauti e riservati, a mandare al patibolo proprio adesso, con fracasso e pubblicità, per di più con l’imputazione di terrorismo e con una coorte di altri condannati, l’imam sciita al Nimr che era da tempo detenuto nelle loro prigioni? È vero che, quando era in libertà, al Nimr propugnava la secessione dal Regno della regione di fronte all’Iran dove sono concentrati il petrolio e i correligionari sciiti. È vero che a Riad i rapporti di potere tra le élite sono lungi dall’essere sereni dopo il terremoto successorio. È vero, infine, che i drastici tagli al bilancio dello Stato possono preludere a qualche sommovimento in un quadro economico- sociale fragile, denso di diseguaglianze e di asimmetrie assistenziali.
È vero, soprattutto, che l’entrata in vigore degli Accordi di Vienna è alle porte. Con ogni mezzo, Riad vuole impedire che Teheran sia riammessa a pieno titolo nel gioco delle grandi potenze regionali, che i vari embarghi siano tolti, che il mare di petrolio, pur svalutato, permetta agli odiati Ayatollah di competere efficacemente sui mercati cedenti. E, soprattutto, vuole impedire che il moderato Rouhani consolidi con la Casa Bianca un rapporto stabile. Nel nome della stabilità e della priorità di distruggere l’Is, nei cui confronti gli Stati del Golfo non mancano di mostrare ambiguità, anche se non sono i soli, questo rapporto conferirebbe all’Iran un ruolo geopolitico determinante. Dunque, occorreva una provokacija, come direbbe un altro protagonista della perversa crisi del terrorismo islamista e della guerra civile siriano-irachena. Dal canto loro, gli estremisti iraniani, chierici e pasdaran insieme, non hanno mancato di evocare agli occhi degli americani la tragedia del 1979 con l’attacco, questa volta, alla sede diplomatica saudita, quasi a confermare la perdurante perfidia persiana.
Bloccare gli Accordi di Vienna. Dove aveva fallito Netanyahu, malgrado la cospirazione con il Congresso repubblicano, il tradizionale alleato saudita cerca ora di riuscire avvalendosi dei metodi caratteristici della regione. E, se possibile, di influenzare la campagna presidenziale con l’appello all’opinione pubblica americana. L’obiettivo è quello di ricostruire con Obama o, piuttosto, con i suoi successori il rapporto privilegiato che la dinastia aveva rafforzato con i Bush e confermare l’isolamento di Teheran per metter fine al disegno geopolitico del cosidetto “arco sciita” dal confine afgano al Mediterraneo degli Hezbollah, un sogno imperiale che avrebbe dato a Teheran uno status regionale egemonico.
La posta in gioco è dunque il rapporto con gli Stati Uniti che restano il fattore dominante della stabilità della regione. Washington e Mosca non lesinano alle due parti gli appelli alla moderazione. Dal canto suo, l’Unione Europea non se ne priverà, né mancheranno le Nazioni Unite. Ma la diplomazia avrà un gioco difficile in un terreno squassato da ambizioni egemoniche e rabbia popolare, rivalità economiche e odi ancestrali. Il tutto alimentato nel nome di millenarie dispute teologiche da quel fattore che amiamo chiamare religioso quando appare piuttosto etnico e nazionale. Un compito arduo per qualunque diplomazia a causa dell’instabilità interna, della pluralità e inaffidabilità dei regimi e degli stessi interlocutori politici.
Difficile immaginare che Teheran e Riad ricorrano allo strumento ultimo delle armi. La guerra per procura che hanno condotto sinora in Siria, Iraq, Yemen, nel Medio Oriente in generale sembra mostrare che entrambi i Paesi non siano in grado di andare oltre. Tuttavia, mentre le crisi locali si prestavano all’arbitrato dei maggiori attori, il concerto delle potenze, soprattutto per la lotta all’Is, richiede la partecipazione delle potenze regionali. Sempre che queste, pur ai ferri corti, sappiano raggiungere un consenso equilibrato in cui prevalga la ragione e non ricorrano a crisi strumentalmente predisposte. Il gioco tende a sfuggire di mano agli apprendisti stregoni.Alain Finkielkraut