La Stampa 7.1.16
Prodi: inevitabile l’indebolimento della moneta ma non andranno oltre
“Adesso Pechino farebbe a meno dello scomodo alleato di Pyongyang”
intervista di Alessandro Barbera
Fino a poche settimane fa ha insegnato economia alla classe dirigente cinese, ora è nel Board della China-Europe Business School, la più importante scuola d’impresa del Paese, undicesima nel mondo davanti a Yale e Cornell. La crescente influenza della Cina sta anche in questi dettagli apparentemente secondari. Romano Prodi non ha dubbi: «Fino a pochi anni fa vi era un malcelato senso di inferiorità nei cinesi più giovani. Oggi vedo emergere un certo senso di superiorità verso l’Occidente».
Gli esperimenti nucleari nordcoreani hanno a che vedere con le tentazioni egemoniche cinesi sul mondo?
«La Corea del Nord è un Paese impenetrabile, fuori da ogni regola. Era e resta uno strumento strategico per la Cina, ma col tempo si sta facendo ingombrante e incontrollabile. Credo che Pechino a questo punto ne farebbe volentieri a meno».
I cinesi potrebbero decidere di provocare la fine del regime?
«E’ un Paese pericoloso ma in fondo marginale. I cinesi per ora maneggiano Kim con cura. Da parte mia perciò sento il pericolo ma non vedo sconquassi all’orizzonte».
La nuova svalutazione dello yuan non è un rischio per l’economia mondiale? I mercati hanno reagito male.
«Quella moneta si era apprezzata troppo anche perché negli ultimi anni sono di molto aumentati i salari. Si tratta di una scelta abbastanza comprensibile. Tra l’altro non mi pare che in giro per il mondo vi sia un biasimo violento salvo la paura di una guerra valutaria».
C’è questo rischio?
«Non penso che il governo cinese farà scelte più aggressive di queste. Non dimentichiamo che lo yuan è sempre di più usata nel commercio internazionale e che le autorità di Pechino ambiscono a farne una valuta di riserva».
I cinesi dicono che nel 2016 il Pil crescerà del 6,3. Eppure scendono import, export, produzione di auto, consumi di energia. E se i numeri non fossero veri? Lo dice anche l’esperto di Cina Forchielli: li gonfiano i vertici locali del partito per fare bella figura con Pechino.
«Ho dubbi anche io ma devo prendere i dati esistenti e credere ad essi: il Fondo monetario ci dice che sono questi. Tuttavia, anche ipotizzando che i numeri veri siano di un punto sotto quelli ufficiali, l’economia ormai è così grande che l’impulso positivo alla crescita del Pil mondiale non cambia».
Le mosse di Pechino sono poco chiare: svalutano la moneta, ma fanno anche comprare azioni dai fondi statali per evitare crolli di Borsa. C’è il rischio di un crac?
«Molte decisioni cinesi sembrano difficili da comprendere, ma sono dieci anni che ci interroghiamo sulle loro contraddizioni: se alimentano bolle, di come stanno realmente i conti pubblici, le banche, dell’efficienza della macchina pubblica. Tutti dubbi legittimi, eppure la Cina resta un forte polo dello sviluppo mondiale. Di certo il governo sta accompagnando la trasformazione dell’economia: meno export, meno imprese pubbliche, più aziende e consumi privati. Non è un processo facile, perché senza un sistema diffuso di assistenza sanitaria e pensioni la gente non consuma ma risparmia. Penso che la Cina procederà nella stessa direzione, a meno che nel frattempo non intervenga un incidente imprevisto».
Nell’Henan hanno appena eretto una statua di Mao alta 37 metri. E però cambiano la legge sul figlio unico e si promette lotta dura alla corruzione. Dove va davvero la Cina?
«Ha presente la frase chiave del Gattopardo? In Cina funziona al contrario. Se a Palermo bisogna che tutto cambi perché nulla cambi, in Cina occorre che il potere centrale resti immobile affinché la società cambi. Ecco perché la lotta alla corruzione passa da un rafforzamento del potere centrale. Quella lotta non va sottovalutata: oggi ci sono migliaia di persone sotto accusa. E quei fatti rallentano la rapidità delle scelte di politica economica».
Un’ultima domanda: cosa consiglierebbe a Renzi per risolvere il problema dell’Ilva?
«Me ne guardo dal dare consigli non richiesti. Mi limito a ricordare un aneddoto: circa un anno fa incontrai il numero uno del colosso indiano Mittal, il quale mi disse che l’Ilva è forse la miglior acciaieria d’Europa. Peccato sia in un caos tale da rendere difficile farla funzionare bene».