giovedì 7 gennaio 2016

Repubblica 7.1.16
Il principio di uguaglianza
di Stefano Rodotà

Ringrazio il lettore che, martedì, ha voluto commentare il mio articolo di lunedì sulle unioni civili, ma devo correggere una inesattezza. Non è vero che i costituenti, parlando della famiglia come “società naturale” nell’articolo 29 della Costituzione, abbiano voluto escludere la legittimità di un riconoscimento delle unioni tra persone dello stesso sesso. La finalità era un’altra. Dopo che i regimi autoritari erano pesantemente intervenuti sulla disciplina della famiglia, si volevano evitare per il futuro analoghe intromissioni da parte dello Stato. Vi è la testimonianza esplicita di Aldo Moro che, intervenendo nella discussione, volle circoscrivere la portata del riferimento alla società naturale, sottolineando che, malgrado le apparenze, non si era affatto di fronte ad una definizione della famiglia, ma si trattava soltanto “di definire la competenza dello Stato nei confronti di una delle formazioni sociali alle quali la persona umana dà liberamente vita”. Sulle unioni omosessuali la Costituzione è silenziosa sì che, come è stato variamente osservato, non vi è alcun ostacolo per un intervento del legislatore, divenuto addirittura doveroso considerando che la Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia proprio per il ritardo nel riconoscere quelle unioni. Dopo che la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ha cancellato la diversità di sesso dai requisiti per la legittima costituzione di una famiglia (art. 9) e ha vietato ogni discriminazione basata su ”l’orientamento sessuale” (art. 21), è il principio di eguaglianza a costituire il fondamentale riferimento. Su questo, e su altri punti, bisogna sempre essere rigorosi, per evitare che la discussione parlamentare, già tanto confusa, perda proprio la bussola costituzionale.