martedì 5 gennaio 2016

Repubblica 5.1.16
Corinne Rey
“Continueremo senza censurarci non possiamo darla vinta ai killer”
La vignettista presa in ostaggio fuori dalla redazione: “Dopo gli attentati ci è sembrato necessario ricominciare a disegnare. Non sono blasfema in modo gratuito: siamo stati sempre così e non cambieremo”
di Anais Ginori


In questi mesi sono rimasta stupita dalla violenza dei media nei miei confronti Volevano che mi sentissi colpevole
Corinne Rey firma le vignette sotto lo pseudonimo “Coco” Il 7 gennaio 2015 fu presa in ostaggio dai fratelli Kouachi e costretta, sotto la minaccia delle armi, ad aprire loro la redazione del settimanale “Charlie Hebdo” Sotto, la vignetta che Coco ha disegnato per l’alleanza Lena

PARIGI. «Charlie Hebdo ha un umorismo un po’ sfasato, di segno diverso rispetto al mainstream. Non abbiamo mai cercato il consenso». Un anno fa, la disegnatrice Coco era stata presa in ostaggio dai fratelli Kouachi fuori dalla redazione di Charlie Hebdo.
La giovane vignettista era stata costretta ad aprire la porta blindata con un kalashnikov puntato alla tempia. «In questi mesi, non ho parlato molto perché sono stata stupita dalla violenza dei media nei miei confronti, mi hanno fatto domande tipo: “Non si sente colpevole?”, “Come si sopravvive?”. C’è un voyeurismo insostenibile. I problemi privati non si confidano ai giornalisti, semmai agli psicologi» spiega adesso Coco presentando la raccolta di disegni 2015 di Charlie, un album che comprende tra l’altro con le ultime vignette di Wolinsky Cabu, Char Tignous, Honoré. Per l’anniversario degli attentati, il settimanale pubblica anche un libro “Je Dessine”, con una bella selezione di disegni di bambini, tra le migliaia ricevuti. Domani il settimanale satirico manda in edicola un numero speciale, con in copertina un Dio armato e “assassino”, secondo il direttore Riss. Un disegno che ha provocato polemiche, criticato dai vescovi francesi. «Siamo sempre stati così e non cambieremo» risponde Coco.
La blasfemia è un diritto come un altro?
«Personalmente non faccio blasfemia in modo gratuito. Charlie Hebdo è un giornale d’attualità. Seguiamo l’attualità. Non disegniamo il Profeta perché ci gira così. E l’abbiamo fatto poche volte: ci sono più nostre vignette su Gesù che su Maometto. Pubblichiamo disegni blasfemi solo se è strettamente necessario ed è giustificato da quello che succede».
Un anno dopo gli attentati, come si sente?
«Meglio, il tempo aiuta quando si vive un evento così duro ed eccezionale. Dopo gli attentati, ci è sembrato subito necessario ricominciare a disegnare. Io ne sentivo bisogno: è un modo di occupare i pensieri e di scacciare altre immagini».
Nessun dubbio sul fatto che bisognasse continuare a pubblicare Charlie?
«Certo che no. Era l’unica risposta possibile. Non bisognava darla vinta a quegli stronzi. Siamo stati colpiti, decimati, ma siamo sempre qui».
Il vostro modo di ironizzare è cambiato?
«Continuiamo a ridere di tutto. E’ l’attualità a dettarci i temi. Vogliamo anche far riflettere. Quel che amo nel disegno satirico è l’impegno che c’è dietro. E nel caso di Charlie c’è anche la libertà. Libertà di parola ma anche di stile grafico. Il clima è teso, politicamente e socialmente, ma non deve impedirci di ridere tutto. Anche della morte».
La libertà di espressione non accetta limiti?
«Assolutamente no. Nessuno si autocensura a Charlie. Facciamo esattamente lo stesso lavoro di prima. L’unica differenza adesso è sapere che abbiamo una risonanza mondiale. Quando facciamo un disegno, dobbiamo essere chiari e senza ambiguità. Non ci deve essere spazio per equivoci. Cerchiamo di mantenere l’ironia, la satira, con una finezza di spirito, ma facendo più attenzione ai doppi sensi».
Cosa avete provato dopo il 13 novembre?
«E’ stato un balzo all’indietro. Eravamo tutti sconvolti. Ho preso un giorno per raccogliere le idee e stranamente ho disegnato abbastanza facilmente, come se sentissi qualcosa in comune con quelli che avevano appena subito gli attentati. Per la copertina ho fatto un omino, un parigino che fa la festa e beve champagne, come qualunque di noi. E’ una copertina che parla della morte, ma in modo gioioso e soprattutto mostra la resistenza possibile davanti al terrorismo, ovvero continuare a fare la festa, andare ai concerti, vivere, senza avere paura. Rinchiuderci a casa non serve a nulla».
Riesce a lavorare come prima anche adesso che è sotto scorta?
«Non ho particolari problemi. Gli agenti sono discreti e mi lasciano fare il mio lavoro. Certo, non potrei andare a fare un reportage in Afghanistan o in Siria”.
La sua famiglia le ha chiesto di andarsene da Charlie, di fare qualcosa di meno pericoloso?
«Se n’è parlato. Con mio marito, la mia famiglia, i miei amici capita che ci sia un po’ di paura. E’ normale. Ma sono io che decido. Sono disegnatrice, è la cosa a cui tengo di più insieme alla mia piccola bambina ».
Ci sono state tensioni nella redazione, in particolare per la gestione dei soldi ricevuti dopo gli attacchi?
«Ci sono stati dissensi. I primi sei mesi sono stati davvero difficili. Una parte della redazione voleva trasformare la gestione del giornale. Altri, come me, erano contrari. I media hanno ricamato sopra la disputa senza alcun pudore.
Quando si è davanti alla morte, alla tristezza, allo choc, al lutto, qualsiasi giornale, forse anche il vostro, attraverserebbe le stesse tensioni».
© LENA, Leading European Newspaper Alliance