Repubblica 3.1.16
I tabà del mondo /1
Se dopo il Padre viene uccisa anche la Legge
All’inizio
il capofamiglia sedeva sul trono e governava per il suo godimento. Poi i
figli presero il potere e il loro rimorso creò le regole-totem del
nuovo ordine. Nacque così il patto sociale con il suo tabù: nessuno
occuperà in modo arbitrario il trono vuoto. Ora quel vuoto non solo non è
riempito ma ha perso ogni significato
di Massimo Recalcati
Il nostro tempo sembra cancellare ogni forma di tabù. La disinibizione e
l’assenza di vergogna e di senso di colpa trionfano alla faccia del
vecchio uomo del Novecento ancora preso dai grandi dissidi morali tra il
bene ed il male, le ragioni individuali e quelle della Storia, il
progresso e la tradizione, gli Ideali e la pulsione.
Le lacerazioni tragiche del Novecento hanno lasciato il posto ad un
disincanto generalizzato che sembra aver annullato l’esperienza
angosciata del tabù. Una vignetta clinica può darci il senso di quello
che sta accadendo. È il caso di un giovane che, insieme a dei suoi
compagni, nel corso di una rapina, ha ucciso brutalmente un anziano. Nel
colloquio in carcere con lo psicologo dichiara che dopo aver commesso
il crimine non ha avvertito alcun senso di colpa. La sua giornata è
scivolata via come se niente fosse. Ha dormito profondamente, la mattina
ha fatto colazione e si è recato normalmente a scuola. Tutto era come
prima. Non siamo di fronte alla lacerazione dostoevskijana tra il senso
della Legge e la sua trasgressione colpevole. Il delitto non sembra più
in rapporto all’esigenza morale del castigo; la colpa non divora il
criminale, non lo costringe all’insonnia, non lo tormenta.
Mentre l’uomo dostoevskijano vive il dramma dell’infrazione della Legge,
il giovane criminale, dopo aver compiuto il delitto, si reca
tranquillamente a scuola ridendo e scherzando con i suoi amici. Egli
vive un altro genere di angoscia. Quale? La confida allo psicologo: la
vertigine che lo ha assalito il giorno successivo al crimine — dopo
essere stato arrestato — scaturisce dalla sensazione della inesistenza
della Legge; ovvero, dalla percezione che tutto, senza la Legge, è
diventato possibile; anche l’uccisione spietata di un uomo per qualche
euro. Diversamente dall’uomo dostoevskijano che sprofonda nell’abisso
del senso di colpa di fronte al volto severo e inflessibile della Legge,
per questo giovane assassino l’angoscia scaturisce dalla dimensione
totalmente inconsistente della Legge.
Siamo di fronte a un’esperienza che rovescia la genesi del tabù così
come Freud l’aveva concepita nel 1913 in uno dei suoi testi più
visionari qual è Totem e Tabù. In quel libro, sulle orme di Darwin, il
padre della psicoanalisi aveva immaginato che la prima forma organizzata
di vita umana avesse come protagonista un padre titanico, geloso e
crudele, possessore di tutte le donne (il Padre dell’orda), che
confondeva arbitrariamente la Legge col proprio godimento. Di fronte a
questa tirannia permanente i figli-fratelli, ai quali era proibito
l’accesso alle donne, decidono di allearsi uccidendo il padre e
divorando il suo corpo in un pasto tribale. Il fatto che i fratelli si
cibino delle carni del padre manifesta tutta l’ambivalenza del loro
legame al padre: ucciso in quanto oggetto d’odio, ma sbranato in quanto
oggetto d’amore affinché la sua potenza illimitata possa essere
incorporata dai suoi figli. Il termine “rimorso” trova qui il suo
significato più profondo: divorando il corpo del padre temuto ma amato, i
figli si sentono morsi dalla colpa. L’esito del rimorso è
l’instaurazione del totem: il padre morto continua a vivere sebbene non
più nella forma della tirannia capricciosa, ma in quella dell’autorità
simbolica incarnata nel totem. La sua morte è, dunque, all’origine del
senso stesso della Legge; il totem diviene, al tempo stesso, oggetto di
venerazione e di angoscia, commemorando l’assassinio del padre e il
rimorso che esso ha suscitato. Da quel momento in poi, si instaura il
divieto dell’incesto che obbliga tutti i figli all’esogamia. Il senso
della Legge sorge come effetto retroattivo dell’atto parricida: mentre
in Edipo il parricidio infrange la Legge conducendo il figlio verso
l’abisso dell’incesto e della distruzione, in Totem e Tabù esso genera
la Legge. La vita democratica della Comunità si rende possibile solo
attraverso il tabù che sorge in seguito all’uccisione del padre. È solo
la morte del padre che pretende di essere la Legge, di fare coincidere
la Legge con la sua volontà di godimento, a costituire la condizione
della nascita di una Legge più umana e della Cultura stessa. Il patto
sociale sostituisce il caos della violenza; la pulsione deve sublimarsi
nel riconoscimento di una Legge che, trovando il suo fondamento nel
padre morto, vale per tutti, non è più Legge ad personam. Nessuno può
occupare il posto del padre morto perché si tratta di un posto destinato
a rimanere vuoto. I totalitarismi del Novecento e i fondamentalismi di
ogni genere mostrano, a rovescio, l’inferno che può generarsi dal suo
riempimento fanatico.
Nel nostro tempo il rischio però non è quello di riempire il vuoto
lasciato dal padre morto, ma, nella dissoluzione neo-libertina di ogni
tabù, di fare venire meno il rispetto verso la Legge. È la vertigine che
assale il giovane assassino: non esiste un argine, un limite, una
barriera che possa contenere il suo atto. In questo modo l’assenza della
Legge sembra diventare l’unica forma della Legge; se tutto diventa
possibile, se dopo aver compiuto un crimine efferato tutto resta come
prima — senza senso di colpa e senza rimorsi — non sarebbe forse
necessario rivalorizzare il tabù come effetto della Legge?