sabato 30 gennaio 2016

Repubblica 30.1.16
Le due feste della Chiesa
di Alberto Melloni

SE IN paradiso i profeti della comunione hanno un balcone tutto per loro e davanti orizzonti vasti sui quali fissare il loro sguardo riposato, oggi quel balcone è in festa. Per due ragioni. Una sembra piccola e, apparentemente, tutta cattolica. L’altra enorme e, apparentemente, tutta ortodossa. Entrambe riguardano quella zona al confine fra politica internazionale e governo delle chiese, dove le grandi anime del cristianesimo si sono mosse con la leggerezza di chi ha i piedi in terra, lo sguardo al cielo e il cuore che attende fermamente ciò che tarda a venire.
La prima ragione di festa è sulla Civiltà Cattolica in edicola oggi. Ed è un articolo di un prelato cinese, Aloysius Jin Luxian. Nato nel 1916, morto nel 2013, padre Jin visse 27 anni di prigionia. Gesuita, rettore del seminario di Shanghai, nel 1985 fu consacrato vescovo senza il mandato papale, che è garanzia della comunione con l’intero episcopato. Jin diventava così un vescovo “illegittimo”, esposto alle critiche di chi vedeva in Cina due chiese e non due diversi tipi di testimoni. Dopo 15 anni di ministero Jin fu “riconosciuto” da Roma e morì in comunione col papa.
La pubblicazione del suo articolo è dunque un risarcimento: ma contiene un messaggio politico e teologico. La sua firma dice infatti che, nel tempo di Francesco, il cattolicesimo non vede nella Cina un estraneo con cui “dialogare”, ma una chiesa, che ha dignità e doni necessari alla chiesa universale. Inoltre la sua firma conferma che i negoziati diretti avviati fra Repubblica popolare e Santa Sede, come conferma il colloquio del papa con l’ambasciatore cinese di qualche giorno fa, non stanno andando male. Dunque — prima ancora del “viaggio del papa a Pechino” che intriga la mentalità catto-televisiva, eccitata all’idea della ripresa di una tonaca bianca sulla Grande muraglia — stiamo vedendo maturare la comunione di una chiesa dove, domani mattina, andranno a messa il doppio dei fedeli che lo faranno in Italia.
La seconda ragione di festa nel balcone dei profeti è la notizia che giovedì scorso i patriarchi ortodossi riuniti a Chambésy hanno fissato l’apertura del concilio panortodosso per il 16 giugno di quest’anno. Primo concilio di tutte le chiese oggi in comunione col patriarca ecumenico, dopo il battesimo della Russia, il concilio si tiene in Grecia a Creta; per evitare che le tensioni fra Ankara e il Cremlino danneggino un appuntamento che mezzo secolo fa il patriarca Athenagoras potè solo desiderare e che ora è vicino, grazie alla santa pazienza del patriarca ecumenico Bartholomeos I e alla capacità di Kyril, patriarca di Mosca e di tutte le Russie, che ha permesso di superare tensioni teologiche che sembravano insormontabili. Al concilio di Creta ci sarà dunque tutta l’ortodossia, i patriarchi e i metropoliti delle diverse chiese (“autocefale” in greco) e per la prima volta nella conciliarità ortodossa gli “osservatori” delle altre chiese cristiane (orientali, cattolici, evangelici, riformati, anglicani, ecc.).
Vadano o meno i papi di Roma e di Alessandria, questo basterà a dare al concilio panortodosso un timbro “ecumenico”, che ne amplifica le implicazioni politiche. Tutte le chiese ortodosse che abitano le terre oggi devastate dalla guerra hanno vissuto per secoli la fede come minoranze accanto o sotto vari tipi di Islam. Sono oggi chiese di perseguitati (come i due metropoliti Yazigi e Gregorios Yohanna Ibrahim rapiti nel 2013). Sono chiese di rifugiati in Nord America. Chiese di “pochi”, come diceva la tracotanza cattolica. Ma sono chiese che col concilio portano nel mondo incendiato dalla guerra la propria comunione: e chi pensa sia poco, non conosce la storia.
Una doppia festa a tema; e il tema è la comunione come modo d’essere. Questione solo apparentemente distante dal tema di oggi: che è la manifestazione di tanti conservatori e conservatori cattolici che faranno pesare la loro capacità di dividere. Ma se Dio non ha tenuto nel dovuto conto il rischio che correvano le sue figlie e i suoi figli omosessuali, nati in famiglie “vere”, passata questa festa e la sua numerica potenza, anche quelle famiglie con la alterità e la comunione dovranno misurarsi.