La Stampa 30.1.16
Calenda greca
di Massimo Gramellini
In
una lettera anticipata dall’Huffington Post, duecentotrenta giovani
diplomatici esprimono a Renzi il loro «disorientamento» (traduzione:
incazzatura, ma sono pur sempre diplomatici) per la nomina ad
ambasciatore presso l’Unione Europea di un politico amico suo, il
viceministro Calenda. Il presidente del Consiglio potrebbe liquidare la
sollevazione come un rigurgito di casta e probabilmente i sondaggi gli
farebbero la ola: nel luogo comune, che contiene sempre un pizzico di
verità, gli inquilini della Farnesina vengono vissuti come un sinedrio
di privilegiati. Oppure potrebbe chiedersi se quella lettera non gli
stia ricordando qualcosa che, nell’impetuosa cavalcata attraverso le
praterie del potere di un Paese sfibrato, sembra avere rimosso. Che la
sua avventura politica si giustifica in nome della meritocrazia. Perché
poi questo significava la fin troppo abusata epica della rottamazione:
sostituire gli inamovibili, i raccomandati, gli incompetenti e qualche
corrotto (tutti è impresa impossibile, specie in Italia) con i più
bravi. A prescindere da conoscenze, tessere e date di nascita.
Magari
i contestatori hanno preso il caso sbagliato, perché adesso a Bruxelles
serve più un politico che un diplomatico di carriera. Ma Renzi dà
troppo spesso l’impressione di scegliere le persone in base all’amicizia
e alla fedeltà. Come i suoi predecessori, sia chiaro. Solo che lui, a
differenza loro, è salito al potere sull’onda di un’aspettativa
prepolitica, quasi di un moto dell’animo. Se la delude, perderà il
referendum decisivo. Quello con il sogno che egli stesso ha agitato.