Repubblica 28.1.16
L’ultima rivoluzione cinese
Dopo aver
moltiplicato gli investimenti in campo scientifico Pechino ha quasi
raggiunto gli Stati Uniti per numero di pubblicazioni. E punta al
sorpasso
Mentre l’Italia, nonostante l’esiguità dei finanziamenti, resiste all’ottavo posto
di Elena Dusi
IL
Nobel per la medicina vinto l’anno scorso è solo l’antipasto. La Cina
ha ancora fame, e nel campo della scienza non vuole essere seconda a
nessuno. Ha appena raggiunto gli Stati Uniti per numero di articoli
scientifici pubblicati ogni anno (400mila), rivela un rapporto della
National Science Foundation di Washington. Secondo l’Ocse, nel 2020 avrà
superato il suo rivale e surclassato anche l’Europa, in termini di
investimenti.
Un quarto dei laureati in scienze e ingegneria di
tutto il mondo proviene dalla Cina (e un altro quarto dall’India). Un
terzo degli stranieri che ottengono un dottorato negli Stati Uniti ha il
passaporto di Pechino, con la madrepatria che preme per riprenderselo.
Una sola azienda di biotecnologie cinese — la Bgi di Shenzhen — possiede
macchinari per leggere il genoma potenti come quelli di tutti gli Usa, e
addestra tra l’altro i giovani biologi italiani dell’università di Tor
Vergata a scovare le malformazioni del feto da una goccia di sangue
della madre (saltando l’amniocentesi).
Il futuro per il gigante
asiatico non è meno ricco di ambizione: a novembre la Cina ha annunciato
che costruirà il più grande acceleratore di particelle del mondo, con
dimensioni doppie ed energia 7 volte superiori rispetto alla macchina
del Cern di Ginevra che nel 2012 scoprì il bosone di Higgs. E tutto
questo è avvenuto nel tempo di una generazione. La scienza era infatti
uscita massacrata dalla rivoluzione culturale. Nel 1982 solo lo 0,8% dei
ragazzi fra i 25 e i 29 anni era andato oltre la scuola superiore. Il
termine “ingegnere” non aveva una traduzione univoca nelle varie lingue
del paese. Nel 1991 la Cina spendeva lo 0,7% del Pil in ricerca (perfino
meno dell’Italia, che oggi è all’1,28%, pari a circa 20 miliardi di
euro, ed è tra gli ultimi paesi europei). E degli oltre due milioni di
articoli scientifici che ogni anno vengono pubblicati nel mondo, nel
1990 solo 6mila erano scritti da cinesi.
Poi è arrivato il
partito, e un vero e proprio caterpillar si è messo in moto. Le
tribolazioni dell’economia di questi giorni non ingannino: il progetto
per agguantare il primato scientifico in Cina ha radici solide. Il
grosso della crescita si è concentrato tra il 2000 e il 2010, spiega un
rapporto pubblicato sulla rivista
Pnas dalle università del
Michigan e di Pechino. Ma gli investimenti sono stati avviati nel 1998,
quando il governo ha lanciato il “programma 985”, raddoppiando i
finanziamenti e il numero di atenei. Oggi in Cina oltre un milione di
ragazzi si laurea ogni anno in discipline scientifiche o ingegneristiche
(il quadruplo rispetto agli Stati Uniti, anche se le popolazioni sono
rispettivamente 1,3 miliardi e 300 milioni). Se già oggi produce i due
terzi dei beni del mondo, il governo cinese punta ora a impadronirsi
anche della fetta mancante: quella a più alto contenuto tecnologico.
Per
spingere a tutta velocità la locomotiva della scienza, la Cina impiega
3,2 milioni fra scienziati e ingegneri (erano 1,2 milioni nel 1982 e
sono appena 5mila in Italia) e li ha posti in cima alla classifica del
prestigio sociale. Gli ingegneri guadagnano il 25% in più rispetto agli
scienziati, che sono ben al di sopra di medici e avvocati (negli Usa la
proporzione è rovesciata). Nel 2008 Pechino ha lanciato il programma dei
“mille talenti” per attirare i migliori cervelli dall’estero offrendo
salari competitivi, laboratori, fondi per la ricerca e un rimborso spese
che solo per il trasloco ammonta a 160mila dollari. L’obiettivo non
dichiarato è invertire l’esodo che ogni anno porta 110mila ragazzi
cinesi a laurearsi negli Usa (un terzo di tutti gli studenti stranieri
immatricolati). Ma nel carniere di Pechino sono finiti anche biologi e
fisici (per la maggior parte cinesi di nascita), tanto da spingere nel
2010 il New York Times a scrivere preoccupato: «La Cina sta colmando
molto più rapidamente di quanto pensassimo il divario con le nazioni
avanzate».
Altro che divario: oggi la Cina è pronta al sorpasso.
Dei 2,2 milioni di pubblicazioni scientifiche scritte ogni anno, il
18,2% viene da Pechino e il 18,8% dagli Usa. Secondo un’altra classifica
(SciMago) l’Italia, nonostante l’esiguità dei finanziamenti resiste
all’ottavo posto dopo Usa, Cina, Gran Bretagna, Germania, Giappone,
Francia e Canada e prima dell’India.
I settori di punta per
Pechino sono le scienze applicate: fisica, scienza dei materiali e
chimica, mentre gli Usa mantengono il primato in biologia, medicina e
nella ricerca di base in generale. Ma se le pubblicazioni Usa sono in
crescita ogni anno del 3,2%, quelle della Cina aumentano del 18,9%, in
linea con una crescita degli investimenti di circa il 20% annuo per gli
ultimi 15 anni. Oggi la Cina spende per la scienza 336 miliardi di
dollari, il 2% del proprio Pil e il 20% della torta mondiale. Gli Stati
Uniti sono ancora in vantaggio (456 miliardi, il 2,7% del Pil e il 27%
della quota globale).Ma ancora una volta, è soprattutto da se stessa che
la Cina è costretta a guardarsi. Oltre al primato delle pubblicazioni,
Pechino ha infatti raggiunto anche quello delle frodi scientifiche. Dal
2010 gli articoli frutto di plagio sono triplicati e sono proliferate le
agenzie che vendono agli scienziati falsi esperimenti pronti da
pubblicare. In alcuni casi, ha rivelato a dicembre la rivista Science,
la fase della revisione e dell’accettazione è stata aggirata perfino
attraverso intrusioni di hacker nei siti delle riviste.