Repubblica 28.1.16
La Cina dichiara guerra a Soros
Il
Quotidiano del Popolo attacca il finanziere che ha previsto un
atterraggio duro per l’economia del Dragone: “La speculazione contro lo
yuan non gli riuscirà”. Ma a dicembre i profitti dell’industria crollano
del 4,7 per cento
di Giampaolo Visetti
George
Soros, 86 anni, è un finanziare ungherese naturalizzato americano,
diventato famoso per i grossi guadagni ottenuti speculando al ribasso a
inizio anni ‘90 contro la sterlina e la lira
PECHINO.
La Cina, considerato il peso sui mercati, tratta George Soros come uno
Stato straniero ostile, lo definisce «coccodrillo finanziario» e gli
intima di «stare alla larga da una guerra allo yuan». Lo spettacolare
scontro Xi Jinping-George Soros ha come teatro i media-simbolo della
seconda economia mondiale e del capitalismo occidentale: il socialista
Quotidiano del Popolo e il liberista Financial Times, da poco in mani
giapponesi. Ad aprire le ostilità, un editoriale dell’organo ufficiale
del partito-Stato, dal titolo «Dichiarare guerra alla valuta cinese? Ah
Ah». Un ricercatore del ministero del Commercio avverte che «la guerra
di Soros contro il renminbi e il dollaro di Hong Kong non può riuscire».
L’accusa è «aumentare la volatilità in mercati finanziari già
instabili».
Una settimana fa, intervistato a Davos da Bloomberg
Tv, il re della finanza globale aveva previsto «un atterraggio duro e
inevitabile» per l’economia di Pechino. «La Cina ha aspettato troppo per
affrontare il passaggio da un modello di crescita basato sulle
esportazioni – aveva detto – ad uno guidato dai consumi interni». La sua
previsione, senza citare lo yuan, era stata «una fase di ribassi per le
monete asiatiche». A inizio settimana le Borse cinesi hanno toccato il
minimo dal 2014, Shanghai rispetto a giugno ha perso ieri quasi il 45%.
Sullo yuan sono ripartite le vendite e si addensano le nubi di nuove
svalutazioni. Il divario tra cambi ufficiali interni e quelli offshore,
ha ripreso ad allargarsi. Pechino è costretta ad acquistare all’estero
montagne di yuan, pagando in dollari e bruciando parte delle sue riserve
in valuta straniera. Sempre Bloomberg ha stimato che nel 2015 i
capitali in fuga dalla Cina hanno sfondato quota mille miliardi.
La
leadership rossa è evidentemente convinta che Soros, considerato icona
«delle cospirazioni democratiche», «non sia estraneo al tentativo
occidentale di fermare l’avanzata cinese». Due giorni fa il capo
dell’Ufficio nazionale di statistica di Pechino è stato arrestato per
corruzione, ieri lo stesso ufficio ha ammesso che in dicembre i profitti
industriali cinesi sono scesi del 4,7% annuo, il calo più consistente
dal 2013. Le Borse di Shanghai e di Shenzhen hanno chiuso un’altra volta
in perdita, mentre migliaia di industrie nazionali sono ferme causa
sovra-produzione.
La propaganda cinese, spaventata dal primo vero
aumento di malcontento sociale, accredita però la crisi agli «attacchi
speculativi» di Soros. Il Quotidiano del Popolo cita il precedente del
1992, quando il finanziere guadagnò un miliardo di dollari scommettendo
sull’uscita di Londra dai trattati di cambio Ue, speculando sul ribasso
della sterlina. L’affondo finale è da ufficio- inchieste: secondo
Pechino, Soros ha parlato di yuan e di crescita cinese «dopo aver
scommesso contro l’indice S&P 500, che include valute e asset
legati alle economie asiatiche». Travolgere la Cina, e a cascata il
mondo, per interessi privati: lo scontro è frontale, ma decisivo è
verificare se avrà ragione l’autoritario leader post-comunista
convertito al capitalismo, o il vecchio capitalista democratico
diventato ricco sulle macerie dei satelliti comunisti.