il manifesto 28.1.16
Nessuno in difesa di Ban Ki-moon
Il
premier israeliano Netanyahu due giorni fa ha accusato il Segretario
generale dell'Onu di «incoraggiare il terrorismo» solo perchè aveva
spiegato che qualsiasi popolo oppresso reagisce all'occupazione
Nessuno ha preso le difese di Ban Ki-moon
Si aggrava nel frattempo la frattura tra Israele e l'Ue sui progetti europei nell'Area C della Cisgiordania
Michele Giorgio
GERUSALEMME
Una stretta strada di campagna nel villaggio palestinese di Takua a sud
di Gerusalemme, nella Cisgiordania occupata, è il nuovo campo di
battaglia tra Israele e l’Unione europea e, più in generale, dello
scontro tra chi nei Territori occupati muove i suoi passi in linea con
il diritto internazionale e Israele che fa riferimento solo alle sue
leggi. Con un finanziamento europeo, gli agricoltori di Takua la scorsa
estate avevano cominciato ad asfaltare la strada lunga 4 chilometri in
modo da avere finalmente un accesso facilitato ai propri terreni
coltivati. La tempesta è stata immediata. Una associazione israeliana
“Regavim”, con forti legami con il movimento dei coloni ebrei in
Cisgiordania, ha chiesto alla Corte Suprema e al Cogat, il coordinamento
militare responsabile per gli affari civili nei Territori, di fermare i
lavori.
Motivo di questa azione immediata, ha spiegato Ari Briggs
di “Regavim”, è stato quello di impedire «l’espansione incontrollata»
dei palestinesi. Briggs ha accusato l’Unione europea di agire nella
«illegalità» e di non chiedere a Israele i permessi necessari per
l’attuazione dei suoi progetti. La strada di Takua è in Area C, il 60%
della Cisgiordania palestinese occupata nel 1967 che, quasi 23 anni dopo
la firma degli Accordi di Oslo, resta sotto il controllo esclusivo di
Israele. In questa vasta area vivono oltre 300mila palestinesi e
altrettanti coloni. Lo scorso 14 gennaio era stato lo stesso premier
Netanyahu, durante un incontro con la stampa estera, a chiedere all’Ue
di rispettare le leggi israeliane nell’Area C e di non sfidare lo Stato
ebraico con atti illegali. Ralph Tarraf, rappresentante dell’Ue nei
Territori occupati palestinesi, da parte sua ha ribadito che l’Europa
«offre assistenza umanitaria alle comunità bisognose in Area C» e che
l’Unione europea lavora con l’Autorità nazionale palestinese per
sviluppare (quella parte della Cisgiordania) e per sostenere la presenza
palestinese».
È, a dir poco, curioso che Israele che in Area C ha
costruito in violazione aperta del diritto internazionale e delle
risoluzioni dell’Onu i suoi principali blocchi di colonie accusi
l’Unione europea di agire illegamente per non aver chiesto i permessi
alle autorità di occupazione militare. Certo, gli accordi di Oslo lo
prevedono ma la suddivisione della Cisgiordania in tre zone (A,B,C)
doveva essere temporanea, solo cinque anni, dal 1994 al 1999, e non
permanente come poi di fatto è avvenuto. E comunque richiedere
all’Esercito israeliano un permesso per progetti a favore degli abitanti
palestinesi dell’Area C è quasi sempre uno sforzo inutile. E le
demolizioni sono frequenti. Tra gennaio e maggio 2015, ad esempio, 41
strutture palestinesi finanziate dall’Ue con 236.000 Euro sono state
abbattute da Israele, ha riferito all’Europarlamento Christos
Stylianides, commissario Ue per gli aiuti nelle aree di crisi. Secondo
Netanyahu e i suoi ministri, l’Ue starebbe cercando di creare “fatti
compiuti” sul terreno per favorire la nascita dello Stato palestinese
«in anticipo sull’esito dei negoziati» (quali negoziati?). Come se le
colonie ebraiche, che continuano ad espandersi senza sosta, non fossero a
loro volta fatti compiuti. Un ministro israeliano molto influente,
l’ultranazionalista Naftali Bennett, ha più volte invocato l’annessione
dell’Area C e di impedire la nascita di uno Stato palestinese.
Il
premier Netanyahu e il suo governo sembrano aver adottato una linea
piuttosto evidente per fronteggiare le decisioni di Ue ed Onu in linea
con il diritto internazionale. Qualsiasi critica alla colonizzazione o
dichiarazione che tende spiegare il contesto in cui quattro mesi fa è
cominciata in Cisgiordania l’Intifada di Gerusalemme – in Israele la
chiamano l’ “Intifada dei coltelli” -, viene bollata come «istigazione
al terrorismo» e un appoggio a violenze anti-israeliane. Due settimane
fa il ministro Yuval Steinitz non aveva esitato a descrivere come una
«antisemita» la ministra degli esteri svedese Margot Wallstrom che aveva
sollevato interrogativi sull’uccisione sul posto di gran parte dei
palestinesi che di recente hanno tentato o compiuto attacchi contro
cittadini israeliani (aveva ipotizzato «esecuzioni extragiudiziali»).
Due giorni fa il premier Netanyahu ha accusato Ban Ki-moon di
«incoraggiare il terrorismo» perchè il Segretario generale dell’Onu
aveva definito le attività di insediamento israeliane «un affronto al
popolo palestinese e alla comunità internazionale», che sta facendo
fallire la soluzione dei due Stati, e spiegato che «è nella natura umana
dei popoli oppressi reagire all’occupazione». E’ significativo che di
fronte all’accusa di favorire il terrorismo rivolta ad una persona mite e
notoriamente schierata contro la violenza come Ban Ki-moon nessun
leader delle “democrazie occidentali” abbia sentito il dovere di
difendere il Segretario generale dell’Onu dalle accuse di Netanyahu.