il manifesto 28.1.16
Netanyahu e il mondo: «Tutti antisemiti, tutti traditori»
di Zvi Schuldiner
Edizione del
Ha
destato sorpresa nel mondo l’accusa rivolta dal premier Benjamin
Netanyahu al segretario dell’Onu Ban Ki-moon. E il presidente della
Knesset ha criticato i leader europei che, mentre si commemora
l’Olocausto, ricevono il presidente dell’Iran Rohani. E si sa, la
ministra degli esteri della Svezia è una nemica quasi ufficiale di
Israele, tanto che la nostra sottosegretaria agli esteri ha annunciato:
niente più visite ufficiali di esponenti del paese scandinavo…il quale
di certo ha avuto un passato antisemita. E che dire degli sfacciati
brasiliani che rifiutano come ambasciatore di Israele Dany Dayan, già
leader dei coloni nei Territori occupati? Bene, la rappresentanza
diplomatica a Brasilia si limiterà al secondo rango.
Se tutto ciò
sorprende fuori da Israele, noi non siamo affatto sorpresi. Il premier
non sa come affrontare la realtà, però sceglie bene la retorica più
adatta per i propri indecenti interessi di potere. Il ministro
dell’educazione prepara nuove circolari perché i nostri bambini non
siano esposti a materiali e a informazioni nocive al patriottismo e alla
lealtà. E per la ministra della cultura le nuove disposizioni del suo
ministero consentiranno di escludere opere e progetti non apertamente
leali al paese.
È in ballo un progetto di legge governativo per
limitare l’operato delle Ong che si occupano di diritti umani «ma sono
finanziate da governi stranieri»…chissà, magari «ostili» a Israele, come
Germania, Regno unito, Norvegia, Italia e via dicendo. Se invece a
ricevere denaro da fonti private sono evangelici statunitensi, ricchi
intrallazzoni, trafficanti di armi od oligarchi, nessun problema; già ne
sono beneficiari esponenti di punta della destra israeliana e
organizzazioni fasciste locali. La settimana scorsa l’ambasciatore Usa a
Tel Aviv ha espresso preoccupazione sull’applicazione della legge nei
Territori occupati, perché appare disriminatoria e parziale. La reazione
del governo è stata violenta, e su internet ecco circolare il giudizio:
l’ambasciatore è un ebreo indegno di esserlo. Ban Ki-moon ha detto una
cosa semplicissima: l’occupazione corrompe. Gli ex soldati israeliani
che lo denunciano nel progetto «Rompiamo il silenzio» o le
organizzazioni dei diritti umani che lo confermano ogni giorno sono
nient’altro che traditori, soggetti sleali, da processare – per i
moderati – o da liquidare — per l’estrema destra.
L’emozione dei
nostri leader per l’Olocausto e l’indignazione per gli europei che
ricevono Rohani va letta nel contesto dell’unico paese al mondo dove si
può ascoltare spesso la frase: «Peccato che Hitler non abbia finito il
lavoro con voialtri», vale a dire le persone di sinistra, liberali o
semplicemente chi esprime o si mostra incline a opinioni che non
concordano con il sentimento generale.
Davvero, l’occupazione
corrompe. Davvero, nei Territori occupati da Israele fin dal 1967 vivono
milioni di palestinesi, sottoposti a un regime militare che li ha
privati dei più elementari diritti politici, di cittadinanza e umani.
Sì, la ministra degli esteri svedese ha denunciato, a ragione, che in
varie circostanze le forze di polizia o militari hanno ucciso
manifestanti, senza processo, anche quando avrebbero potuto essere
arrestati qualora responsabili di reati. Sì, è chiarissimo: il problema
non è Ban Ki-moon ma una crisi sempre più grave, in un paese che cerca
sempre di autopromuoversi come l’unica democrazia in Medioriente.
Continuano a essere in vigore alcune regole del gioco democratico – per
gli ebrei – ma il deteriorarsi della cosiddetta democrazia è corrosivo e
la situazione peggiora di giorno in giorno, mentre acquistano sempre
più spazio e forza le posizioni apertamente fasciste.
La paranoia
viene costantemente fomentata, per alimentare l’unità nazionale, così da
continuare a opporre un no gravissimo a qualunque proposta reale per un
negoziato di pace serio. L’estrema destra e i circoli fondamentalisti,
la base centrale del governo israeliano attuale, continueranno a
perseguire i propri sogni colonialisti: per loro non c’è posto per la
pace.