Repubblica 27.1.16
Dove va il grillismo senza Grillo
di Stefano Folli
LO
SLOGAN scelto dai Cinque Stelle per presentare le due candidate sindaco
a Milano e Torino vuole essere semplice e immediato: “eleggete una
massaia che sa amare e amministrare”. A Roma manca ancora il nome e
tutto è incerto, tuttavia l’immagine della “massaia”, quando si tratta
di una donna, è replicabile ovunque, nonostante il sapore antico della
definizione.
In sostanza il movimento grillino, ora che il leader
carismatico si è fatto un po’ da parte, si sforza di tornare ai principi
di base. Il primo dei quali prevede che per amministrare una grande
città al pari di un Comune di medie dimensioni basta l’onestà e la
voglia di rimboccarsi le maniche. Il resto viene da sé, purché al timone
ci sia una “massaia” o un “buon padre di famiglia”. Il messaggio è
ovviamente populista, ma quel che colpisce è lo sforzo di ritrovare lo
spirito degli esordi, la stagione dell’innocenza: quando bastava essere
“anti”, cioè contro la casta dei politici e il sistema in genere, per
raccogliere una messe di voti.
Ma da allora il M5S ha dovuto
affrontare le dure repliche della realtà. A Parma, a Livorno e altrove,
fino alla vicenda di Quarto, si è visto che non basta la retorica del
candore. Ovunque serve una classe dirigente che i grillini devono in
buona parte ancora costruire. Amministrare una città non equivale a fare
i conti di casa propria.
Eppure il movimento sa solo proporre uno
slogan che andava bene all’inizio dell’avventura del grillismo. Non è
un segnale incoraggiante nell’anno delle amministrative. Soprattutto
perché i Cinque Stelle sono oggi di fronte al classico bivio. Possono
ritornare al 2013 nello stile e negli slanci, ben sapendo però che non
c’è più l’energia vitale e la novità di Beppe Grillo a colmare le loro
lacune politiche. Oppure possono decidere di continuare nel lungo
viaggio attraverso le istituzioni, dall’ente locale al Parlamento: il
che significa rinunciare forse al sogno della spallata, della clamorosa
vittoria elettorale nel 2017 o ‘18, ma in cambio ritagliarsi la
prospettiva di un ruolo visibile e riconosciuto come controllori e
oppositori del potere.
Quello che non sembra possibile è la
rinuncia a scegliere. Quando il direttorio (Di Maio, Fico, Di Battista)
afferma che il movimento «può ormai fare a meno di Grillo perché in
questi anni è cresciuto», tende a illudere se stesso e gli elettori. Sia
perché Grillo resta incombente e interverrà quando ne avrà voglia. Sia
perché i sondaggi, finora molto favorevoli, sono una piattaforma fragile
a cui affidarsi. Infatti il caso Quarto ha subito danneggiato le
percentuali del M5S — forse al di là del giusto — e a ciò contribuisce
probabilmente l’assenza di una leadership ben identificata.
La
risposta politica e mediatica dei grillini consiste nell’intensificare
l’offensiva contro il Pd, attraverso un conteggio puntuale di tutti i
condannati e indagati fra gli amministratori del partito di Renzi
(compresa la nuova inchiesta che riguarda il presidente della Campania,
De Luca). Legittimo ma riduttivo perché la questione riguarda la
capacità dei Cinque Stelle di amministrare in modo efficace e moralmente
ineccepibile. Le macchie del Pd si conoscono ed è anche per questo che
l’opinione pubblica ha guardato all’alternativa anti- sistema.
Fra
i grillini ci sono peraltro ottimi parlamentari che non amano restare
troppo alla finestra. Le unioni civili sono un terreno propizio per
contare, specie al Senato. Al di là di tale orizzonte, si colgono
soprattutto le contraddizioni. La politica estera e mediterranea non si
risolve in una battuta, ora che la crisi in Libia è destinata a
peggiorare. La politica economica richiede rigore di analisi e di
proposte. L’insuccesso della manifestazione di Arezzo davanti a Banca
Etruria dimostra come oggi sia difficile muoversi persino sui terreni
più favorevoli. Un grillismo senza Grillo non è credibile. E il 26-27
per cento dei sondaggi non è un patrimonio acquisito per sempre, bensì
una conquista quotidiana.