Repubblica 26.1.16
Calabria.
L’odissea dei bulgari schiavi nei campi per un euro all’ora
Lavoravano dalla mattina alla sera senza mangiare. Uno di loro ha avuto il coraggio di raccontare tutto alla Finanza
di Giuliano Foschini
SIBARI.
La prima volta che hanno visto Lamerica è stata nell’angolo di questo
stanzone della Guardia di finanza di Sibari. Una macchinetta con le luci
accese. «L’ho riempita di monetine, tutte quelle che avevo in tasca.
Hanno preso acqua, succhi di frutta e cioccolato. Ho dovuto convincerli
che era soltanto un regalo, che per la prima volta avevano conosciuto un
italiano che non chiedeva loro nulla in cambio. Mi hanno sorriso e
hanno conservato tutto nella borsa. Poi, quando li abbiamo convinti a
parlare, ho capito perché».
A raccontare, mentre gioca
nervosamente con le mani, torturando la fede, è un esperto militare del
Comando. È stato lui, insieme ai suoi colleghi, a salvare la vita a tre
ragazzi bulgari arrivati in Italia convinti di trovare fortuna. E invece
hanno conosciuto questa cosa qui: «Ho 24 anni, sono bulgaro, mi chiamo
D.N.», e le iniziali qui sono un genere di sopravvivenza. «Sono arrivato
grazie a un mio connazionale che viveva a Corigliano e mi aveva detto
che potevo trovare lavoro. Conoscevo già l’Italia e anche qualche parola
della vostra lingua, perché ci vive mia madre». Corigliano, Cassano: la
piana di Sibari è la più grande cassetta di clementini di Italia. «Ero
venuto per raccogliere agrumi – continua – Avevamo pattuito,
verbalmente, una paga da 25 euro al giorno che mi doveva essere
corrisposta ogni settimana. Erano bei soldi». Settecento euro al mese
per questi ragazzi sono molto più che Lamerica anche quando sono il
corrispettivo di dieci ore di lavoro al giorno. Senza soste. Senza cibo.
In
realtà da quello stipendio vanno detratte una serie di spese: 80 euro
per il viaggio dalla Bulgaria all’Italia, 100 euro per l’iscrizione
nell’elenco dei lavoratori con tanto di rilascio del codice fiscale, 100
euro per l’alloggio, 100 per il vitto e 100 per il trasporto. Si parte
con un debito di 500 euro almeno. E non fa niente che l’alloggio è una
stalla, che l’acqua è fogna, il mangiare rifiuto, perché questi uomini
vengono trattati molto peggio degli animali. «In questa maniera –
spiegano gli uomini del tenente colonnello Sergio Rocco che hanno in
piedi le indagini – i braccianti vengono messi nell’impossibilità di
scappare». E infatti: «Ho lavorato per un mese – ha raccontato sempre D.
– senza essere pagato. Mi dicevano che dovevo io dei soldi a loro. Ma
non potevo mangiare. Ho chiesto quello che mi spettava. Mi hanno
minacciato di morte, hanno sempre i bastoni per le mani. Poi mi hanno
dato 20 euro per due giorni, ordinandomi di stare zitto e tornare a
lavorare». Venti euro per venti ore di lavoro. Fa un euro all’ora.
Poi
è arrivata la Finanza. E, incredibilmente, D. non è scappato. E
soprattutto non è stato zitto. Grazie al suo racconto, ieri, i suoi
aguzzini sono stati denunciati: il bulgaro che gli ha trovato il lavoro
ma anche i due italiani che lo hanno sfruttato e minacciato. Uno ha un
precedente con la criminalità organizzata. Sostanzialmente, è uno
‘ndranghetista, non a caso i controlli rientravano proprio in un piano
della Prefettura contro la criminalità organizzata. Dunque: schiavo
straniero. Schiavista: italiano, mafioso. «Non è una cosa che ci
sconvolge» ammette Giuseppe De Lorenzo, il responsabile della Camera del
lavoro di Corigliano. «I rapporti tra i caporali e la criminalità
organizzata sono strettissimi. Per questo, oggi, per noi è una giornata
bellissima». Prego? «Finalmente qualcuno ha detto che il caporale è uno
sfruttatore e commette un reato. Anche qui nella piana di Sibari dove
invece questo fenomeno non è tollerato ma considerato assolutamente
normale». I numeri sono incredibili: «Il 90% della forza lavoro lavora
con i caporali. Parliamo di più di 20mila persone. Si guadagna 1 euro a
cassa, 25 euro a giornata, da cui vanno sottratti i 5 per il trasporto. E
se la legge dice che ne servono almeno il doppio, chissenefrega. Anzi».
Anzi: a chi non lavora vengono versati contributi fittizi, in modo tale
che possano poi usufruire dell’indennità di disoccupazione. Chi lavora,
invece, riceve il pagamento in nero. Oppure comunque per metà del
compito effettivamente svolto. «In questi anni denunciano, denunciamo,
ma siamo sempre soli» continua De Lorenzo. In realtà una voce forte è
quella della Chiesa. Quella del vescovo, don Ciccio Savino, che viene
dalla Puglia e non ha mai paura delle parole. Da poco arrivato chiarì
subito qual era il suo pensiero sul punto: «L’accoglienza non è mai un
problema. Ma una risorsa. Ed è sull’accoglienza che si gioca la
democrazia. Quando un fratello immigrato muore in un cantiere o perché è
vittima di caporalato io non vedo che le voci si alzano per difendere
chi è stato schiavizzato. Allora non al buonismo, non all’ingenuità”.
«Sente
questo rumore?» dice un finanziere. È sera da un pezzo, i trattori
hanno smesso di trafficare, la piana è affascinante. «C’è molto
silenzio».