Repubblica 25.1.16
La Primavera è stata tradita ma i sogni dei giovani restano vivi
Cinque
anni fa la rivoluzione della piccola Tunisia contagiava l’Egitto: in
piazza Tahrir esplodeva una rivolta di cui ancora oggi viviamo le
conseguenze
La speranza maggiore resta affidata al paese da dove tutto è partito: ma la minaccia dell’Is è forte
Oggi al Cairo trionfano i vecchi metodi autoritari di Mubarak: nessuna opposizione è tollerata
di Tahar Ben Jelloun
Cinque
anni fa tutti avevamo creduto che la Tunisia sarebbe riuscita a
sfuggire alle tenebre che sconvolgono in questo momento la maggior parte
dei Paesi arabi: e insieme a lei l’Egitto, lo Yemen, la Libia e tutti i
paesi che in quelle settimane si erano rivoltati contro i rispettivi
regimi autoritari. Il 25 gennaio del 2011 migliaia di persone si
riunirono in piazza Tahrir, dando avvio alla rivoluzione che avrebbe
cancellato un regime che durava da 30 anni. Da allora, tutto è cambiato.
L’Egitto
ha ritrovato i vecchi metodi autoritari dei tempi di Mubarak: nessuna
opposizione è tollerata, laica o islamista, ma questo non ha impedito ai
terroristi di colpire i turisti. Piazza Tahrir era il luogo dove
centinaia di migliaia di uomini e donne si riunivano per abbattere un
regime corrotto: oggi non è più così.
Le elezioni diedero la
maggioranza ai Fratelli musulmani, che governarono senza rispettare la
democrazia: qualche mese dopo con un colpo di Stato arrivò al potere il
generale Abdel Fatah al Sisi, sostenuto da americani e sauditi, nel
solco della tradizione di governi militari che in Egitto va avanti dai
tempi di Nasser, morto nel 1970. Quello che è cambiato in Egitto negli
ultimi cinque anni è che la gente non ha più paura, ma ancora una volta
le difficoltà economiche rendono impossibile qualsiasi evoluzione verso
una società giusta ed egualitaria. La religione resta presente ovunque, e
questo non facilita l’accesso alla modernità e l’affer-mazione
dell’individuo.
La Siria è invischiata in una guerra di cui non si
vede sbocco, che regala a Bashar al Assad una legittimità usurpata e
senza fondamento: senza l’aiuto di Putin, questo regime criminale
sarebbe sparito da tempo.
La Libia sta affondando in un caos molto gradito a Daesh, che estende la sua barbarie un po’ ovunque nel mondo.
La
Tunisia, che ha avuto il coraggio e la fortuna di adottare una
Costituzione storica, ha creduto per un momento di poter prendere il
volo e ricostruire un paese su basi democratiche. La libertà di
coscienza è garantita, e anche l’uguaglianza di diritti fra uomini e
donne: è un caso unico nel mondo arabo.
Ma il terrorismo non è
stato dello stesso avviso e ha colpito il piccolo Paese del Nordafrica
in più occasioni, finendo per ucciderne l’economia. Oggi a Tunisi e
dintorni non ci sono quasi più turisti e il malcontento popolare cresce
continuamente, al punto che lo Stato, il 20 gennaio scorso, ha dovuto
imporre il coprifuoco: negli ultimi due anni, il terrorismo ha fatto 255
morti. L’attacco al museo del Bardo, il 18 marzo 2015, ha lasciato sul
terreno 23 morti e 43 feriti; l’attentato sulla spiaggia di Soussa si è
concluso con 37 vittime, in maggioranza di nazionalità britannica; il 25
novembre 2015, un pullman della guardia presidenziale è stato attaccato
in pieno centro di Tunisi, con 11 morti. Scontri armati fra esercito e
polizia da un lato e individui armati dall’altro avvengono spesso
nell’interno del Paese, a Rouhia, a Bir Ali Ben Khelifa, a Fernana.
Pastori vengono sgozzati, soldati attaccati e massacrati da miliziani
che hanno giurato fedeltà a Daesh. A tutto questo bisogna aggiungere gli
omicidi politici, come quello del sindacalista di sinistra Chokri
Belaid e del deputato Mohamed Brahmi. Il paese non è sicuro, e i turisti
lo disertano.
Gli islamisti, che siano nelle fila di Ennahda, il
partito islamista che ha governato all’inizio della rivoluzione, o dei
Fratelli musulmani sotto l’egida del wahhabismo saudita (una scuola di
pensiero ultra-conservatrice che applica alla lettera la sharia) non
sono contenti di vedere la Tunisia modernizzarsi, dando diritti alle
donne e aprendosi all’Europa.
Il problema è che l’economia non è
ripartita. La disoccupazione è cresciuta, soprattutto fra i giovani, per
la maggior parte diplomati e senza lavoro. La polizia, malgrado i suoi
sforzi, non è in grado di affrontare il nemico terrorista, che recluta i
suoi adepti tra gente disperata o sedotta dal discorso religioso, che
promette una vita migliore una volta divenuti martiri. La società civile
tunisina è molto attiva: si batte su tutti i fronti, in particolare
quello della condizione della donna, che gode di diritti rari nei Paesi
arabi e musulmani. Ma il Paese è minacciato: è impossibile sorvegliare
le centinaia di chilometri di frontiere con la Libia, da dove vengono i
terroristi di Al Qaeda del Maghreb islamico e del sedicente stato
islamico.
Molte armi attraversano queste frontiere. La Tunisia non
può far fronte da sola alla sfida terrorista. Avrebbe bisogno di essere
aiutata, sostenuta economicamente, appoggiata politicamente.
L’Europa
assiste a questo naufragio senza poter fare granché. Neanche l’Algeria
l’aiuta, avendo già i suoi problemi per la crisi economica seguita al
calo del prezzo del petrolio. La gioventù è impaziente: sono centinaia i
giovani che si sono arruolati con le milizie di Daesh, per disperazione
o per spirito di avventura. La Tunisia teme il ritorno di alcuni di
loro, e lo stesso problema riguarda il Marocco e tutta l’Europa.
La
primavera araba non ha ancora detto l’ultima parola. Con il tempo, e la
sconfitta di Daesh, che tutti auspichiamo, forse potrà ripartire e
riportare pace e prosperità a questi popoli così maltrattati dalla
storia.
(Traduzione di Fabio Galimberti)