Corriere 25.1.16
Operazione Guangdong: così Pechino rapisce i dissidenti in vacanza
Gli ordini del partito, le azioni in Thailandia e Hong Kong
di Guido Santevecchi
PECHINO
C’è un piano per arrestare gli oppositori cinesi fuggiti all’estero con
«rapimenti di Stato»? Li Xin era un giornalista cinese del Southern
Metropolis Daily di Guangzhou (Canton), una voce relativamente libera
nella stampa cinese. Ed è scomparso in Thailandia. Si era rifugiato in
India a ottobre, dopo che la polizia cinese aveva cercato di
trasformarlo in informatore, di costringerlo a spiare gli attivisti dei
diritti civili, minacciando di incriminarlo per spionaggio se non avesse
accettato. A New Delhi, Li Xin aveva rivelato un documento con una
lista di argomenti sui quali la censura cinese impone il silenzio. Le
autorità indiane gli hanno negato asilo politico, perché non vogliono
altri problemi con Pechino. Anche l’ambasciata americana gli ha
rifiutato un visto turistico. Così Li Xin è passato in Thailandia e la
mattina del 10 gennaio è salito su un treno per il Laos. Da allora è
scomparso.
A ottobre è sparito in Thailandia durante una vacanza
Gui Minhai, editore e scrittore hongkonghese con passaporto anche
svedese noto per aver pubblicato libri scandalistici sui dirigenti della
Cina. Gui Minhai fa parte del gruppo dei «cinque librai» di Hong Kong
svaniti negli ultimi mesi. A Bangkok non risulta che sia uscito dal loro
territorio mostrando un passaporto alla frontiera. Nei giorni scorsi
Gui è stato esibito dalla Cctv statale di Pechino mentre confessava un
vecchio caso di guida in stato di ubriachezza per il quale avrebbe
sentito il dovere di consegnarsi alla polizia, dodici anni dopo.
Un
altro dei librai mancanti all’appello, Lee Bo, cittadino hongkonghese e
britannico, è riapparso nel Guangdong, la regione cinese che confina
con l’ex colonia britannica: dopo giorni di silenzio ha mandato una
serie di lettere dichiarando di essersi consegnato di propria volontà
alla polizia della Repubblica popolare per «collaborare in un’inchiesta
delicata».
A Hong Kong nessuno crede a queste versioni: il
passaporto di Lee Bo, indispensabile per entrare in Cina, è rimasto a
casa. Più probabile che Gui e Lee abbiano richiamato l’attenzione cinese
perché stavano per pubblicare un libro sulla vita privata di Xi Jinping
(che è stato cancellato). A Hong Kong ci sono state manifestazioni
contro l’attacco cinese della libertà di stampa e di parola, che
dovrebbe essere garantita fino al 2047 in base agli accordi che
portarono alla restituzione del territorio nel 1997 da parte di Londra.
Che
cosa sta succedendo? A Hong Kong tra i giornalisti e i deputati anti
Pechino circola un documento interno al partito comunista che forse
contiene la risposta. Si chiamerebbe «Piano d’azione Guangdong»:
obiettivo «cancellare alla fonte» le pubblicazioni che diffondono
critiche al governo di Pechino e spaventare i dissidenti. Per metterlo
in pratica, alla polizia cinese sarebbe stato dato ordine di agire anche
all’estero, con operazioni di «prelievo» dei ricercati e pressioni su
Paesi vicini perché collaborino. A novembre due cinesi registrati come
rifugiati negli uffici dell’Onu sono stati arrestati e rimandati in Cina
dalla Thailandia.
A Pechino intanto vengono arrestati i pochi
avvocati dei diritti civili e si intimidiscono anche gli stranieri delle
organizzazioni non governative che cercano di fornire assistenza
legale. La settimana scorsa lo svedese Peter Dahlin è stato esibito in
tv in un’altra confessione pubblica: ha ammesso di «aver causato danno
al governo centrale e ferito il popolo cinese» e ha chiesto perdono. I
colleghi della sua ong dicono che è un’assurdità estorta.
Sophie
Richardson, direttrice di Human Rights Watch per la Cina ha detto al
Sunday Times che gli apparenti rapimenti all’estero e gli arresti di
stranieri sono un segnale: «Ora ci si chiede: chi sarà il prossimo? E di
quale nazionalità?». E Jerome Cohen, docente della New York University
School of Law, esperto di diritto cinese, commenta: «Non è solo il
braccio della legge cinese che si allunga, ma il braccio
dell’illegalità».