Repubblica 25.1.16
Emma Bonino.
L’ex ministro degli Esteri: “L’Occidente deve sostenere i riformisti nel paese”
“Teheran non va isolata può aiutare a risolvere la crisi in Medio Oriente”
intervista di Vincenzo Nigro
ROMA.
Emma Bonino, ex ministro degli Esteri, ha contribuito in maniera
decisiva a costruire la politica italiana verso l’Iran. Ed è anche
merito suo se oggi Rouhani arriva in Italia, prima visita in Europa
dalla fine delle sanzioni.
Signora Bonino, perché il presidente iraniano ha scelto l’Italia come prima tappa?
«Mantiene
una promessa che aveva fatto all’Italia poche settimane dopo il suo
insediamento. Visita un paese che ha scelto una linea diversa rispetto a
quella fatta soltanto da sanzioni e punizioni. L’Italia ha sempre
voluto il dialogo con l’Iran, ha chiesto all’Iran di responsabilizzarsi,
di coinvolgersi nella soluzione di problemi che Teheran stessa
contribuisce a creare. Perché in Medio Oriente tutti contribuiscono a
creare problemi e tutti devono aiutare a risolverli».
Ministro
degli Esteri nel governo Letta, nell’estate del 2013 Emma Bonino, poche
settimane dopo la vittoria elettorale di Rouhani e dei riformatori,
decise di lanciare uno dei quei segnali in cui la diplomazia italiana è
maestra: «Noi rispettammo la decisione comune presa dalla Ue, ovvero di
partecipare solo con gli ambasciatori alla cerimonia di insediamento di
Rouhani. Ma due giorni dopo inviammo il vice-ministro degli Esteri
Pistelli a Teheran, per lanciare dall’Europa un primo segnale di
attenzione al nuovo governo».
Avevate ancora il dente avvelenato
per la sciagurata decisione del governo Berlusconi che tredici anni fa
scelse di lasciare l’Italia fuori dal negoziato sul nucleare?
«Quella
di non partecipare al negoziato sul nucleare fu certo una scelta non
felice, fra l’altro con la motivazione che siccome eravamo presidenti di
turno dell’Unione Europea non dovevamo coinvolgerci...era vero il
contrario. Ma adesso quella lunga fase autolesionista si è chiusa. Con
la vittoria alle elezioni di Rouhani l’Italia decise di dare un segnale
di speranza, di attenzione dopo gli otto anni dell’ex presidente Mahmud
Ahmadinejad. Io stessa andai in visita a Teheran a Natale del 2013, la
prima dopo dieci anni».
Il ritiro delle sanzioni dopo l’accordo
sul nucleare rimette l’Iran al centro della politica nel Golfo. L’Arabia
Saudita si sente minacciata mortalmente.
«Con l’Iran c’è una
partita politica da costruire: lo dico chiaramente, chi è parte dei
problemi deve contribuire a risolverli, e l’Iran è parte di molti
problemi in Medio Oriente, dalla Siria ad altri conflitti nel Golfo. Ma
proprio per questo l’Iran deve essere coinvolto, deve rispondere dei
suoi comportamenti, deve essere chiamato a contribuire alle soluzioni.
In queste ore la partita siriana vive un momento delicatissimo. Il fatto
che l’Arabia Saudita per mettere a morte lo sceicco Nimr al Nimr abbia
deciso una esecuzione di massa di altri quarantasei condannati ci dice
il livello di pericolosità raggiunto. Ma noi non ci voltiamo dall’altra
parte: dobbiamo parlare chiaramente in faccia a tutti, dire che il
livello di violenza raggiunto è intollerabile, pericoloso, tutto rischia
di finire fuori controllo».
Il prossimo 26 febbraio in Iran ci saranno le elezioni per l’Assemblea.
Crede che il presidente Rouhani e i riformatori possano davvero essere ridimensionati?
«La
mia impressione è che in Iran ci sia uno scontro di potere molto
importante. Uno dei settori più rilevanti del fronte dei conservatori,
il giudiziario, si sta mobilitando. Ma in Iran l’opinione pubblica
esiste, nelle grandi città conta. Non è un’opinione pubblica
antiOccidentale, vuole il dialogo, il progresso, l’apertura del paese.
Noi speriamo in un Iran più aperto e dialogante».