Repubblica 23.1.16
Il commissario di Etruria “Va dichiarata insolvente”
Se
la richiesta del liquidatore sarà accettata dal tribunale fallimentare
la procura di Arezzo potrà indagare gli ex manager per bancarotta
di Fabio Tonacci
ROMA.
Il salto di qualità che può fare l’inchiesta su Banca Etruria si
intuisce nell’ultima riga della relazione firmata dal commissario
liquidatore, Giuseppe Santoni, che per settimane ha spulciato i bilanci
dell’istituto aretino. Va dichiarato «lo stato di insolvenza della
Popolare, con ogni consequenziale provvedimento di legge», mette nero su
bianco Santoni, a conclusione di un documento di diciotto pagine
depositato al Tribunale fallimentare di Arezzo il 28 dicembre scorso. E
se il collegio dei giudici il prossimo 8 febbraio deciderà in tal senso,
come pare assai probabile, la procura di Arezzo avrà la carta per
aprire il quinto fascicolo sull’Etruria. Il più devastante,
potenzialmente. Perché indagando con una ipotesi di bancarotta
fraudolenta, le spese deliberate dagli ex manager e segnalate dagli
ispettori di Bankitalia rischiano di diventare altrettanti reati a
carico degli stessi amministratori. Compreso Pier Luigi Boschi, che
nell’ultimo cda aveva assunto il ruolo di vicepresidente.
Santoni, nel suo dossier che
Repubblica
è in grado di anticipare, comincia proprio dalle ragioni che hanno
portato al commissariamento voluto da Palazzo Koch nel febbraio dello
scorso anno. «Era stato reso necessario a fronte dell’inerzia degli
organi di governo di Banca Etruria nell’affrontare il progressivo
aggravamento della situazione aziendale». Riporta diversi passaggi delle
due ispezioni della Banca d’Italia fatte tra il 2013 e il 2015,
condividendone gli esiti e ritenendole molto solide, tanto da
assimilarle «a vere consulenze tecniche di ufficio, che non hanno
bisogno di accertamenti ulteriori». Santoni individua nella gestione dei
prestiti il punto cruciale per capire la parabola discendente della
Popolare di Arezzo. «Le criticità affrontate con grave ritardo dagli
organi aziendali erano consistite nella mancata tempestiva adozione di
strategie, politiche e strutture dedicate alla gestione dei crediti
deteriorati». Fuori dal gergo finanziario, si tratta di quei prestiti
che l’Etruria negli anni ha concesso e che non sono mai rientrati per
difficoltà economiche del beneficiario. Santoni li quantifica: «Al 31
dicembre 2014 ammontavano a circa 3 miliardi di euro». Ma è soprattutto
il calcolo sulle perdite complessive a rendere quasi inevitabile la
dichiarazione di insolvenza: «Al 30 settembre 2015 sono di 579,6 milioni
di euro. È emerso un deficit patrimoniale di 557 milioni». Fin qui
parlano i numeri. Ma in concreto, cosa significa?
Aprendo
un’indagine per bancarotta fraudolenta, il procuratore capo di Arezzo
Roberto Rossi avrebbe la possibilità di guardare dentro ai bilanci per
vedere come, e da chi, sono stati dati i fidi bancari milionari che
hanno spolpato le casse della banca. Ci sono poi da valutare le
inconsistenti fidejussioni lasciate a garanzia dei crediti concessi,
come segnalato da Bankitalia in moltissimi casi. Si potrebbe poi aprire
un capitolo sui 15 milioni di euro di consulenze, decise dal cda. Erano
necessarie? A chi sono state date? Così come potrebbe diventare un
problema per gli ex manager la buonuscita da 1,1 milioni di euro al
vecchio direttore generale Luca Bronchi (indagato) a maggio 2014, quando
la Popolare navigava già sull’orlo del dissesto. Rossi stesso tre
settimane fa, a margine dell’audizione davanti al Consiglio superiore
della magistratura per il procedimento disciplinare a suo carico non
ancora risolto, ha risposto così a chi gli chiedeva perché non avesse
iscritto nel registro degli indagati i membri del cda dell’Etruria: «La
banca può tranquillamente, finché è un ente privato in bonis (in attivo,
ndr), utilizzare e sperperare il proprio denaro. Ma se la società
dovesse andare in insolvenza, è chiaro che tante cose lecite potrebbero
assumere un altro rilievo. Quando arriverà la relazione del commissario
liquidatore, valuteremo che si può fare».
Dunque ora si guarda a
una data, l’8 febbraio. Quel giorno al Tribunale fallimentare di Arezzo
si confronteranno in aula lo stesso Santoni, l’ex presidente
dell’Etruria Lorenzo Rosi, un delegato di Bankitalia e i due commissari
che l’hanno traghettata fino al decreto salva- banche del governo il 22
novembre scorso. Se ci saranno le condizioni perché si apra una nuova
inchiesta sull’Etruria e sulle persone che l’hanno guidata lo si capirà
da quell’udienza.