Repubblica 22.1.16
La democrazia tra mito e realtà
risponde Corrado Augias
CARO
Augias, leggo molte analisi sulla crisi delle democrazie. Quasi tutte
mi lasciano insoddisfatto. A me, nato a Bologna sotto i bombardamenti,
testimone diretto dell’involuzione, pare chiaro che, cessato l’influsso
positivo della Resistenza, le classi dirigenti siano decadute. Sono
emersi i mediatori incapaci di decidere, quando non i furbastri o i
disonesti. Le persone di specchiate onestà e dignità sono state
emarginate o utilizzate come specchietti per le allodole — sia in Italia
che all’estero. Sarà l’età, ma sto diventando pessimista. Mi sembra di
capire che non vi sia soluzione a questa incapacità dei sistemi
democratici rappresentativi fondati sui partiti di selezionare il meglio
dalla società per affidargli il governo del Paese, anzi, direi che si
stia selezionando il peggio. Nel pragmatico mondo anglosassone, si
ipotizza che se il Parlamento fosse eletto sorteggiandone i membri fra
gli elettori disponibili, magari con qualche correttivo demografico o di
genere, il risultato sarebbe migliore e la percentuale di onesti e
volonterosi più alta.
Paolo Serra
ESSENDO il tema
molto impegnativo, do al signor Serra due risposte basate su opinioni
di specialisti di alto livello. La prima la ricavo dal saggio Democrazia
di Massimo L. Salvadori (Donzelli ed.); la seconda è una sorpresa. Lo
storico Salvadori spiega con linguaggio di esemplare chiarezza perché il
termine “democrazia rappresentativa” sia in parte illusorio. I
parlamenti sono istituti nei quali alcuni delegati dovrebbero
rappresentare l’intero popolo. Chi sceglie però i delegati? In pratica,
si legge nel libro, sono le élites a farlo. Non è nemmeno questione
della legge elettorale che certo può aggravare il fenomeno. È sempre
così nella sostanza. L’idea dei grillini di affidare la scelta alla
democrazia diretta della Rete (“Uno vale uno”) s’è visto che fine ha
fatto: manovre della diarchia imperante, espulsione dei prescelti
“inadatti”, risultati comunque non verificabili. Se ci spostiamo al
livello più alto, l’elezione presidenziale negli Stati Uniti, le cose
non cambiano. Perfino l’uomo più potente del mondo, scelto da una
percentuale pari a circa il 25 per cento degli elettori, è in realtà
mandato alla Casa Bianca dalle potenti consorterie (oggi si dice
lobbies) che puntano su di lui e dall’invasivo sfruttamento mediatico
delle masse popolari. Ecco perché Salvadori, con ragionato pessimismo,
ha dato come sottotitolo al suo saggio “Storia di un’idea tra mito e
realtà”. La sorpresa è venuta leggendo (Domenicale del Sole24ore) la
recensione di un libro dedicato a David Bowie. L’autore, Simon
Critchley, si definisce pop-philosopher (New School for Social Research —
New York). Pensando alla personalità geniale, poliedrica e sfuggente
della grande popstar, ha scritto: «Non c’è una realtà solida a partire
dalla quale possiamo dare senso al mondo. Più la cerchiamo, più
lottiamo, più vicino arriviamo al nulla». Molto più modestamente penso
anch’io che stiamo attraversando un’epoca di cambiamenti così radicali
da comportare trasformazioni di cui nessuno può prevedere l’esito —
tanto meno noi “nati sotto i bombardamenti”.