Repubblica 22.1.16
“Rossi indagò su Boschi poi negò di conoscerlo” E il Csm riapre il caso
Il vicepresidente della banca aveva venduto una tenuta ricevendo 250mila euro in nero
Etruria, il pm di Arezzo nel 2013 archiviò le accuse di estorsione
Anche la Cassazione vuole verificare la correttezza deontologica
di Fabio Tonacci
ROMA.
Il caso del procuratore di Arezzo Roberto Rossi non è chiuso. Nel
capovolgimento delle parti che va avanti da fine dicembre, per cui chi
sta indagando sul dissesto di Banca Etruria si è ritrovato sotto
inchiesta disciplinare, il Csm ha deciso di approfondire la posizione di
Rossi, per valutarne eventuali incompatibilità con l’indagine che sta
conducendo. «Perché ci ha detto di non conoscere Pier Luigi Boschi,
quando ora si scopre che lo ha indagato fino al 2013?», è la voce che
arriva da Palazzo dei Marescialli. Per capire l’intreccio di questa
storia, bisogna fare un passo indietro.
Rossi, titolare di quattro
procedimenti su Banca Etruria, è finito davanti al Csm una prima volta
il 28 dicembre scorso a causa della sua consulenza con il Dipartimento
affari giuridici e legislativi di Palazzo Chigi, iniziata nel 2013 col
governo Letta e rinnovata durante il mandato di Matteo Renzi. La prima
commissione del Csm voleva capire se la consulenza fosse compatibile con
il suo ruolo e se non ne pregiudicasse l’indipendenza, visto che nel
cda di Banca Etruria sedeva, in qualità di vicepresidente, il padre del
ministro delle Riforme Maria Elena Boschi. Nell’audizione del 28
dicembre, Antonio Ardituro chiese: «Ha qualche tipo di rapporto o
conoscenza con la famiglia Boschi di Arezzo?». La risposta di Rossi,
messa a verbale, fu: «Non conosco nessuno, non sapevo neanche come fosse
formata quella famiglia. Ho incontrato Maria Elena Boschi durante
alcuni appuntamenti istituzionali e pubblici, mentre il padre l’ho visto
solo in fotografia sui giornali». La sua versione aveva convinto, tanto
che ieri mattina la Commissione avrebbe dovuto proporre al resto del
Consiglio la chiusura del procedimento disciplinare. Invece così non è
stato. Mercoledì il sito del settimanale
Panorama ha rivelato
l’esistenza di un’inchiesta, aperta nel 2010 e archiviata il 7 novembre
2013, nella quale Pier Luigi Boschi è stato indagato (e prosciolto)
dallo stesso Rossi per turbativa d’asta, estorsione e reati fiscali. La
vicenda riguarda la compravendita nel 2007 della tenuta “Fattoria La
Dorna” a Civitella in Val Di Chiana. Nei vari passaggi, il padre del
ministro aveva ricevuto 250.000 euro in nero (per cui è stato sanzionato
dall’Agenzia delle Entrate) e si era associato a un imprenditore
calabrese, Francesco Saporito, che i magistrati di Catanzaro in una
vecchia ordinanza definiscono “prestanome” vicino alle ’ndrine di
Petilia Policastro. Pure la Guardia di finanza aveva dubbi su Saporito,
tanto che un paio di informative del 2010 sono state girate alla
direzione distrettuale antimafia di Firenze. Pier Luigi Boschi non è mai
stato interrogato, e Rossi ha firmato il decreto di archiviazione. Ha
dunque mentito davanti al Csm, quando ha detto di non conoscerlo? Nella
lettera, il procuratore spiega: «Nella vostra domanda ci si riferiva a
conoscenze personali, che ribadisco non avere. Aver svolto precedenti
indagini su Boschi non è causa di incompatibilità». Il Csm, però, su
proposta del laico di Forza Italia Pierantonio Zanettin, aspetta di
vedere cosa c’era dentro quel fascicolo archiviato. «Siamo rammaricati
di un ennesimo equivoco in cui sembra essere caduto Rossi», dice
Zanettin. Non solo. Anche il procuratore generale della Cassazione ha
chiesto alla Commissione le carte, per verificare se il comportamento di
Rossi sia stato consono alle norme della deontologia professionale.